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Bengasi, agguato a convoglio britannico

 

Sempre più tesa la situazione a Bengasi in Libia, teatro nei giorni scorsi di agguati contro stranieri. Un convoglio diplomatico britannico, a bordo l'ambasciatore Dominic Asquith, è stato attaccato oggi e due delle sue guardie del corpo sono rimaste ferite.

L'ambasciatore è illeso e il Foreign Office non ha precisato la nazionalità dei feriti nell'agguato causato da un lanciarazzi e che osservatori locali hanno collegato, al pari di quelli dei giorni scorsi, alla presenza in città di milizie islamiche che sfruttano il vuoto di sicurezza lasciato dalla caduta del regime di Muammar Gheddafi.
Il convoglio, che aveva lasciato da poco un ristorante, era a 300 metri dal consolato di Londra nel quartiere di al-Rabha e la granata ha sfracellato il vetro del cruscotto. "C'era molto sangue nella macchina", ha detto una fonte delle forze dell'ordine libiche. Bengasi era stata la culla della rivolta contro Gheddafi ma negli ultimi tempi è diventata un epicentro di violenza anti-occidentale, con armi alla portata di tutti e le forze di sicurezza che fanno fatica ad affermare la propria autorità.

L'agguato di oggi è il quarto negli ultimi tre mesi contro missioni internazionali. Cinque giorni fa ad essere attaccata da un auto che passava di fronte era stata la missione diplomatica degli Stati Uniti e il 22 maggio era toccato agli uffici della Croce Rossa Internazionale. Ad aprile, sempre a Bengasi, una bomba venne lanciata contro il convoglio nel quale viaggiava il rappresentante speciale del Segretario Generale dell'Onu per la Libia, Ian Martin. Nessuno rimase ferito. A Londra un portavoce del Foreign Office ha confermato l'attacco e ha detto che le autorità britanniche sono in stretto contatto con quelle libiche ma il vero timore non confessato è che questa serie di aggressioni sia l'inizio di una campagna di insurrezione in Libia su modello dell'Iraq: questo potrebbe avere un impatto non solo sulle prossime elezioni del 7 luglio, e prime elezioni nazionali in oltre 40 anni, ma anche sulle esportazioni di petrolio perché lo sfruttamento del greggio dipende dai lavoratori stranieri.

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