Potrebbero provocare tra 15 e 1.300 morti e tra 24 e 2.500 casi di cancro, le radiazioni causate dall'incidente nella centrale nucleare giapponese di Fukushima Daiichi. E' quanto indicano le prime stime dell'impatto sulla salute dell'incidente nucleare di Fukushima dell'11 marzo 2011, pubblicate oggi sulla rivista Energy and Environmental Science. Il modello è stato elaborato da Mark Jacobson e Ten Hoeve, dell'università californiana di Stanford.
Nonostante l'ampiezza delle stime, i dati contrastano con quanto dichiarato dal Comitato Scientifico delle Nazioni Unite all'epoca del disastro, ovvero che i livelli di radioattività non avrebbero provocato alcun effetto grave sulla salute. Il modello indica invece che quello di Fukushima Daiichi è stato il peggiore incidente nucleare dopo quello avvenuto nel 1986 a Chernobyl, che secondo il rapporto ufficiale delle Nazioni Unite causò 65 morti ed una stima, contestata da diverse associazioni ambientaliste, di altri 4.000 decessi nell'arco di 80 anni.
Nel caso giapponese il rilascio delle radiazioni ha contaminato alcune centinaia di chilometri quadrati intorno all'impianto e la maggior parte della radioattività è finita nel Pacifico. Soltanto il 19% del materiale è rimasto a terra, limitando l'esposizione della popolazione. Livelli più bassi di radioattività sono stati rilevati nel Nord America e in Europa.
I ricercatori hanno utilizzato un modello atmosferico globale in 3D, sviluppato in oltre 20 anni di ricerca e in grado di prevedere lo spostamento del materiale radioattivo, incrociandolo con un modello standard sugli effetti provocati sulla salute per stimare l'esposizione umana alla radioattività. Considerate le incertezze dei modelli, i ricercatori hanno individuato un bilancio di 130 vittime a livello globale stimato in 130 persone, concentrate soprattutto in Giappone e in modo minore in Asia e nel Nord America. Una stima che, includendo più forme di tumori, fa salire il numero a 180.
Riguardo alla gestione del rischio, secondo i ricercatori la risposta del governo giapponese è stata più efficiente rispetto a quanto è accaduto a Chernobyl. Le agenzie giapponesi, ad esempio, hanno evacuato la popolazione entro uno raggio di 20 chilometri dalla centrale, distribuito iodio per prevenire l'assorbimento radioattivo e vietato la coltivazione di piante.
Secondo il modello, l'evacuazione avrebbe impedito 245 morti dovute alle radiazioni, ma la ricerca rileva che si sono verificati circa 600 decessi dovuti allo stesso processo di evacuazione, soprattutto a causa della debolezza e dell'esposizione di anziani e malati cronici. Questo significa che il processo di evacuazione è costato più vite di quante ne sia riuscito a salvarne.
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