Lunedì 18 Novembre 2024

Assange: Obama fermi
la caccia a Wikileaks

Barack Obama "faccia la cosa giusta": fermi la "caccia alle streghe" contro Wikileaks, liberi l'"eroe" Bradley Manning da 815 giorni dietro le sbarre senza incriminazioni, e soprattutto "archivi l'inchiesta dell'Fbi" contro chi mette in piazza i segreti di Stato. Rompendo due mesi di silenzio, durante i quali si è asserragliato nell'ambasciata dell'Ecuador a Londra, Julian Assange si è affacciato a un balcone accolto in trionfo da centinaia di sostenitori sotto i riflettori dei media internazionali e lo sguardo impotente di decine di poliziotti. "Sono qui oggi perché non posso essere lì con voi. L'oppressione è unita, ma noi dobbiamo essere determinati e uniti contro l'oppressione", ha arringato il capo di Wikileaks citando le ragazze di Pussy Riot incarcerate in Russia per la 'preghiera punk' anti-Putin.

Julian è apparso pallido, dimagrito, due mesi nella 'cella di fatto' della piccola ambasciata alle spalle di Harrods hanno lasciato il segno. Assange ha avuto dal presidente ecuadoregno Rafael Correa l'asilo politico ma non può mettere piede fuori, altrimenti Scotland Yard lo arresta. "Ai miei figli, perdonatemi, ci rivedremo presto", ha detto in toni quasi messianici, mentre tra il tifo da stadio sotto il balcone qualcuno ha evocato lo spirito di Evita Peron. Non una parola invece, nel discorso da capo di un movimento che non riconosce segreti di Stato, alle accuse di molestie sessuale per cui la Svezia da due anni ne ha chiesto l'estradizione per interrogarlo. Assange teme che siano il grimaldello per l'estradizione negli Usa, dove potenzialmente lo aspetta un'accusa di tradimento.

Ma questo "é assolutamente impossibile", ha detto al Financial Times il ministro degli Esteri svedese Carl Bildt: "Non estradiamo in paesi che hanno la pena di morte". Forse il barlume di una soluzione, visto che in mattinata un portavoce di Wikileaks aveva ribadito che un impegno formale da parte di Stoccolma a non estradare Assange negli Stati Uniti sarebbe una "buona base" per "negoziare un modo per mettere fine a questa storia". Julian ha parlato per dieci minuti, maniche di camicia e cravatta. Sotto, in una Londra torrida quasi come Quito, l'atmosfera è apparsa a metà tra un circo e una chiesa gospel. A scaldare la folla, come in un concerto rock, l'opening act dell'ex giudice spagnolo Baltasar Garzon: "Julian mi ha incaricato di aprire un'azione legale per difendere i diritti suoi e di Wikileaks".

Poi sono stati letti i messaggi della stilista Vivienne Westwood e del regista Ken Loach, mentre l'intellettuale arabo-svizzero Tariq Ali ha elogiato i nuovi governi di sinistra latino-americani, un trend di cui l'Ecuador è parte: "Dal Venezuela alla Bolivia e all'Ecuador: questi governi radicali socialdemocratici offrono più diritti umani e sociali ai loro cittadini di quelli d'Europa". Ma Ali è rimasto poi senza parole quando, intervistato da SkyNews, gli è stato contestato il caso di Alexander Barankov, un 'whistleblower' bielorusso che l'Ecuador sta preparandosi a estradare in quella che gli osservatori considerano "l'ultima dittatura in Europa". Due pesi e due misure con il rifugiato di 3 Hans Crescent a cui giovedì scorso, sfidando la Gran Bretagna Quito ha concesso l'asilo politico?

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