"Non vedo mio padre da dieci anni. Non lo tocco da venti. Di lui so che sta male, che è stanco, malato. Ha il Parkinson e un cuore malandato. Vorrei abbracciarlo, certo, ma so che lo farò solo quando sarà morto". Giuseppe Salvatore Riina, terzogenito del Capo dei Capi, che oggi vive e lavora a Padova dopo aver scontato una condanna per associazione mafiosa parla al settimanale 'Oggi' del boss mafioso. "Ama la musica, le canzoni di Claudio Villa. Mi ha insegnato a rispettare gli altri - aggiunge - perché non è l'uomo descritto dalle cronache giornalistiche o dalle sentenze, ma un padre affettuoso, pieno di attenzioni e di principi. A mio padre piaceva cucinare, curare il suo orto e le sue piante. In tutte le case che abbiamo avuto c'è sempre stato un giardino e un pollaio: mio padre ci passava le ore fra galline e conigli. Amava gli animali. Ci sono sempre stati cani e gatti in casa nostra". Giuseppe è convinto che a tradire Totò non sia stato Provenzano a tradire suo padre, a farlo arrestare: "sicuramente ha fatto comodo a qualcuno dirlo", racconta al settimanale. "Erano amici - aggiunge - Mio padre non ha mai creduto in un suo tradimento. Non ci crede lui e non ci credo io". E sul fatto che Totò Riina ha sempre affermato che Paolo Borsellino sarebbe stato ucciso da uomini dello Stato e non dalla mafia, Giuseppe Salvatore Riina commenta: «Se lo ha detto avrà avuto i suoi buoni motivi». E conclude annunciando la decisione di scrivere un libro. "Sono stato considerato un appestato, esiliato da Corleone, volevano cacciarmi anche da Padova - ribadisce - Hanno cercato di infangare anche chi mi ha aiutato. Con questo libro ho cercato di mostrarmi per quello che sono. Di svelare particolari della mia vita. Non sono il boss prepotente e sbruffone che hanno dipinto. Sono un uomo che vuole riappropriarsi della sua vita. Anche se mi chiamo Riina". (ANSA)
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