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Jennifer Lopez
incanta Bologna

Non capita spessissimo di assistere al concerto di una multinazionale. Perché Jennifer Lopez, per la prima volta su un palco italiano all'Unipol Arena di Bologna, non è solo una cantante, non è solo una ballerina, non è solo un attrice, ma è presidente, impiegata, nonché materia prima e prodotto finito della 'J.Lo Inc', la società che gestisce la sua immagine, produce i suoi film e la sua linea di moda e sfrutta fino all'ultima goccia i suoi diritti d'immagine.

E il suo spettacolo 'Dance Again', un'ora e mezzo di musica, coreografie non raffinatissime ma comunque spettacolari, con giochi di luce, effetti laser, maxischermi e uno sfoggio sfolgorante di costumi le è cucito addosso, per sfruttare tutto il suo carisma di performer. 

Detta così, lo spettacolo di J.Lo, unica data italiana, può anche sembrare una roba senz'anima. Ma in realtà nello studiatissimo e scintillante spettacolo un'anima c'é eccome. Nelle sue coreografie piene zeppe di ingenui riferimenti sessuali, nella musica sintetizzata, nel suo dialogo costante e un po' stereotipato con il pubblico c'é comunque tutto l'orgoglio e la consapevolezza della ragazza del Bronx, delle origini umilissime, delle ore passate sulla linea 6 della metropolitana di New York a sognare quello che poi è riuscita a realizzare. Così, con una tamarrissima sfacciataggine, ma anche con un'autentica onestà intellettuale 'Jenny from the Block' sbatte in faccia all'Europa la sua attualizzata lettura del sogno americano, ergendosi a simbolo dei paranoici e schizzati anni Duemila. 

Ed è per questo che, piaccia o no, è lei, e non può essere che lei, uno dei simboli più autentici e meno snob dell'America di Obama (e peraltro del presidente lei è una delle più strenue sostenitrici). Bologna l'ha accolta con calore, nel pomeriggio è andata anche in tilt via Indipendenza dove alloggiava, per l'assedio di curiosi. Il pubblico che l'ha festeggiata all'Unipol Arena era eterogeneo e difficile da catalogare. La splendida 43enne newyorkese non è propriamente idolo dei ragazzini, non gode esattamente di un vero culto musicale (in pochi conoscevano le parole delle sue canzoni, limitandosi a canticchiare i refrain-tormentone, 'Lets get loud', 'On the floor'), non ci sono critici esigenti che si stracciano le vesti per i suoi virtuosismi canori o danzerini. 

E però alla fine lo spettacolo ha una sua americanissima bellezza proprio per questo. J.Lo e 'pop' nel senso migliore della parola: quando sta sul palco non si atteggia da rockstar, stringe le mani a tutti i fan della prima fila, riceve una bandiera tricolore e ci si avvolge, afferra al volo i fiori che le lanciano sul palco, ammalia gli spettatori con mille cambi d'abito, ammicca passando più tempo voltata di spalle che non di fronte per sfruttare al meglio il pezzo forte della sua azienda e porta con il sorriso il suo messaggio positivo: il sogno della ragazzina povera che con il duro lavoro, con il sacrificio e con un pizzico di fortuna ce l'ha fatta. E che ora vale milioni e milioni di dollari perché è un sogno che si vende che è una meraviglia.

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