La Champions League nel destino, lo aveva incoronato lo scorso maggio, lo ha scaricato sei mesi più tardi: sorprendente nei tempi, ma non certo inatteso, il Chelsea ha dato il benservito a Roberto Di Matteo. Fatale la batosta con la Juventus. Si chiude così, con uno scarno e freddo comunicato, il rapporto tra i Blues e il tecnico che aveva regalato a Roman Abramovich la coppa più ambita.
Chiamato lo scorso marzo dopo la fallimentare parentesi André Villas-Boas, in soccorso di una squadra all'apparenza finita, il manager ex MK Dons e West Bromwich era andato al di là di qualsiasi attesa, centrando la straordinaria doppietta Fa Cup e Champions. Un exploit che aveva costretto il patron russo, non certo un ammiratore del calcio pragmatico e sparagnino di quel Chelsea, a confermarlo. Non solo perché Di Matteo, con un passato da calciatore allo Stamford Bridge, poteva contare sull'affetto dei tifosi e sul sostegno dello spogliatoio, ma soprattutto perché Pep Guardiola, resistendo alle ripetute profferte di Abramovich, era partito per New York per il suo anno sabbatico.
Senza alternative, condizionato dagli umori della piazza, il magnate russo aveva infine offerto un biennale a Di Matteo, con una clausola rescissoria dopo il primo anno che già rivelava però la fragilità dell'intesa. In estate il Chelsea è tornato a spendere come da tempo non faceva, oltre 90 milioni sul mercato per arrivare a Eden Hazard, Oscar, Victor Moses e Marko Marin. Partito Didier Drogba, totem intoccabile fino alla storica finale di Monaco di Baviera, a Di Matteo era stato chiesto di costruire la squadra attorno a Fernando Torres, l'acquisto più caro dell'epoca Abramovich (più di 50 milioni di euro). Ma anche in questa stagione lo spagnolo fin qui ha deluso: solo quattro gol in 12 gare di campionato.
L'avvio di stagione è incoraggiante: Di Matteo propone un calcio più spregiudicato e offensivo, schiera tre trequartisti dietro Torres che deliziano il popolo Blues con gol e spettacolo. Un mese fa però qualcosa si inceppa. Il Chelsea perde immeritatamente contro il Manchester United, favorito dagli errori arbitrali, e si smarrisce. Nelle ultime quattro uscite di campionato due soli punti. Sabato lo scivolone sul campo del West Bromwich. Il cielo sopra Stamford Bridge si rannuvola pericolosamente. La batosta di Torino, con la probabile conseguente eliminazione dalla Champions, convince Abramovich a rompere gli indugi e non attendere oltre. Via Di Matteo, che paga "i recenti risultati" e si congeda dopo 42 panchine (24 vittorie, 9 pareggi e 9 sconfitte). Non era mai stato convinto di Di Matteo, e non gli ha voluto dare la possiblità di disputare il mondiale per club.
Con quel decisionismo spregiudicato ai limiti dell'irriconoscenza, lo zar ha voluto voltare pagina e cercare il nono tecnico dal suo arrivo (2003). Solo due tecnici finora hanno resistito più di una stagione nell'era Abramovich: José Mourinho e Carlo Ancelotti. Se Di Matteo per il momento tace, come suo costume, si sprecano in queste ore sussurri e indiscrezioni più o meno fondate sul nome del prossimo manager del Chelsea. In pole position, secondo gli allibratori inglesi, Rafa Benitez, già cercato la scorsa primavera ma che non piace ai tifosi del Chelsea. Pep Guardiola, contattato anche nei giorni scorsi, ha ribadito la sua intenzione di non interrompere l'anno sabbatico. Improbabile immaginare un ritorno di Guus Hiddink, oggi alla guida dell'Anzhi di Samuel Etòo, scoraggiante l'ipotesi Avram Grant che ha il solo merito di essere un amico del magnate russo. E' davvero un rebus intricato scoprire il nome del nono manager dei Blues: la panchina più calda della Premier League.
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