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Scandalo 118,
arriva la stangata

 

di Francesco Celi

 

Di questi tempi – sussurra un avvocato amico –meglio un anno di galera che una condanna, definitiva, della Corte dei Conti. Specie se dopo un’indolore “verifica” contabile-amministrativa di primo grado arriva la stangata. E che stangata! Diciassette deputati regionali in carica tra il 2005 e 2006, compreso il governatore dell’epoca Totò Cuffaro, componenti di Giunta o della Commissione Sanità dell’Ars, sono stati condannati ieri pomeriggio dalla Corte dei Conti a risarcire l’erario per 11 milioni 882mila 862 euro. Molti dei deputati finiti sotto la lente della magistratura contabile rivestono ancora oggi un ruolo di primissimo piano nel panorama politico. Si tratta dello “scandalo Sise”: l’assunzione in massa, in piena campagna elettorale, tra il 2005 e il 2006, di 1200 persone, perlopiù barellieri e autisti (ma anche amministrativi) arruolati nel servizio di soccorso del 118 sul territorio siciliano. La Procura, le cui tesi non erano state accolte in prima istanza (sentenza depositata il 12 dicembre 2012), ha contestato, anche nei motivi di appello, un danno erariale di 37 milioni ai 17 parlamentari Ars. Pagheranno – non esiste giudizio di terzo grado in ambito di magistratura contabile – per quasi dodici milioni. La “piattaforma”del danno erariale, al di là delle ragioni meramente elettoralistiche: gli atti, le convenzioni, con cui si stabilì l’incremento delle autoambulanze e l’arruolamento di personale addetto al 118. Un’operazione politica a fini clientelari. Il servizio di emergenza all’epoca era gestito dalla Sise, società interamente partecipata dalla Croce Rossa Italiana, attraverso una convenzione con la Regione. Secondo la Procura della Corte dei Conti, non ci sarebbe stata in quella fase «nessuna esigenza funzionale» di potenziamento che giustificasse l’acquisto di nuove ambulanze e l’assunzione di ulteriore personale. Inoltre, è stato accertato che sarebbe stato quasi raddoppiato il numero delle ambulanze e il conseguente aumento di personale avrebbe reso possibile l’assunzione di precari della Sise e corsisti Ciapi, l’ente di formazione al centro di un gigantesco scandalo nelle ultime settimane, per il quale il presidente Crocetta ha deciso lo scioglimento. Ieri pomeriggio, i giudici della Sezione giurisdizionale di appello della Corte dei Conti (presidente Salvatore Cilia, consigliere relatore Valter Del Rosario, consiglieri Luciana Savignone e Salvatore Cultrera) hanno clamorosamente ribaltato il verdetto di primo grado accogliendo parzialmente – danno erariale non di 37 milioni ma di quasi 12 – l’appello della Procura regionale. Dovranno pagare alla Regione Siciliana 729 mila 877,88 euro ciascuno l’ex presidente, oggi rinchiuso a Rebibbia dove sta scontando una condanna a 7 anni per concorso esterno in associazione mafiosa e rivelazione di segreto istruttorio, Totò Cuffaro; Francesco Cascio, già presidente Ars e attuale deputato a Sala d’Ercole; Antonio D’Aquino, Mario Parlavecchio, Giovanni Pistorio, Francesco Scoma, all’epoca assessori regionali; Giuseppe Arcidiacono, Giuseppe Basile, Giancarlo Confalone, Salvatore David Costa, Nino Dina, Santi Formica e Angelo Moschetto, tutti nella qualità di componenti la Commissione Ars. Condannati invece a risarcire 598 mila 612,38 euro ciascuno Michele Cimino, Fabio Granata, Carmelo Lo Monte (a fronte della pessima notizia della condanna, il parlamentare messinese ieri ne ha appresa una positiva: Tabacci ha optato per il seggio conquistato in Toscana e Lo Monte riapproderà ancora a Montecitorio; ndr) e Innocenzo Lentini, nella qualità di assessori. L’Assemblea regionale siciliana, allorquando esplose lo scandalo – l’aumento da 158 a 256 ambulanze sul territorio regionale, le assunzioni diventarono un fatto consequenziale –, e la Corte dei Conti chiese atti e documentazione, negò inizialmente ogni incartamento, ritenendo la richiesta una «lesione» alle prerogative del Parlamento più antico d’Europa. Atti che finirono con l’essere trasmessi alla magistratura contabile solo dopo una sentenza pronunciata nel 2009 dalla Corte Costituzionale, che ha ritenuto pienamente legittime le richieste istruttorie del procuratore regionale Guido Carlino e del pm Gianluca Albo, titolari dell’inchiesta. La vicenda in sé risale all’autunno del 2005. Il via libera da parte della Giunta Cuffaro al potenziamento del “118” arrivò il 20 settembre, due settimane dopo l’assessore alla Sanità dell’epoca, Giovanni Pistorio (primo dei non eletti nella lista Udc per la Camera nel collegio Sicilia orientale alle Politiche celebrate il 24 e 25 febbraio, con possibilità di approdare a Montecitorio se l’on. Gianpiero D’Alia dovesse optare per il seggio conquistato anche in Sicilia occidentale; ndr) firmò un atto che permise l’immissione in servizio di 64 nuove ambulanze in più rispetto a quelle previste dalla convenzione con la Croce Rossa, incrementando da 10 a 12 il numero dei soccorritori per ogni mezzo. Il provvedimento di Pistorio fini in Commissione Sanità dell’Ars, dove il 19 ottobre sette deputati votarono altri due emendamenti che aumentarono il parco ambulanze di altri mezzi. Contro votò solo Antonello Cracolici (Ds), mentre Giovanni Manzullo (Margherita) si astenne: entrambi però schivarono contestazioni di responsabilità da parte della Corte dei Conti; non i componenti la Giunta e i deputati commissari che votarono a favore. L’iter si chiuse con una deliberà che determinò costi aggiuntivi per 43 milioni all’anno. Negli anni la Corte dei Conti ha accesso più volte i fari sulla Sise e sul “118” per gli alti costi del servizio: basti pensare che nel 2002 venivano spesi 9 milioni di euro, sette anni dopo –nel 2009 – la Regione ne ha sborsati 87,5 soltanto per il personale e i mezzi. Scandali siciliani, ieri sera la mannaia economica su 17 protagonisti di quella stagione. Non ci fu danno erariale per 37 milioni, ma per quasi 12 milioni sì.

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