Lunedì e martedì Raiuno trasmetterà in prima serata (ore 21.10) “Trilussa –Storia d’amore e di poesia”, ispirata alla vita del celeberrimo poeta romano ma concentrata in un solo anno, il 1937, con Trilussa, sessantaseienne, all’apice della sua fama in una Roma che vive la vigilia dell’apocalisse, della persecuzione ebraica e della guerra. Diretta da Lodovico Gasparini, la fiction in due puntate vede nel cast Monica Guerritore (Rosa, che fu per più di 40 anni una presenza costante nella vita di Trilussa), Valentina Corti (Giselda, trasteverina con cui il poeta ebbe una relazione), Emanuele Bosi, il messinese Ninni Bruschetta e il catanzarese Diego Verdegiglio. Protagonista assoluto Michele Placido, nei panni del celebrato poeta, che abbiamo raggiunto al telefono.
Il lavoro di Gasperini probabilmente ci farà scoprire l’uo - mo dietro il poeta; una persona controcorrente anche nella vita. Che peculiarità possiede il suo Trilussa?
«In base a come ce l’hanno descritto i biografi e alla sua produzione letteraria, a cui gli sceneggiatori si sono ispirati, è un personaggio molto libero in un periodo oscuro come il fascismo. Il suo pensiero e i suoi atteggiamenti erano controcorrente. Non è stato amato, ma sopportato. Era un vero anticonformista a differenza di altri come D’Annunzio o Pirandello, ad esempio, che avevano la tessera fascista. Lui non ha mai avuto timore, perché quando un artista si sente libero sul piano della scrittura e non si allinea diventa un personaggio fuori dalla norma, straordinario; e Trilussa era così, altrimenti non se ne sarebbe fatto un film. Quando si fa un film si racconta una vita straordinaria, e anche sul piano esistenziale egli non ha temuto i poteri dell’epoca come la Chiesa e il Fascismo. Ha vissuto dentro la società romana ma ai margini, perché non è mai stato stipendiato, anzi era sempre in bolletta, senza una lira, doveva arrangiarsi per pagare l’affitto; e questo l’ha fatto con un’intelligenza strepitosa e una poeticità magnifica, con grande capacità critica nei confronti della sua società. La sua arte è sempre attuale, tanto che Mondadori ristamperà le sue poesie. È sempre stato uno scapolone ed ha anche avuto un atteggiamento disincantato nei confronti della vita, possedeva un cinismo melanconico e una grande autonomia e ironia».
Questo aspetto malinconico del suo carattere emerge nella fiction?
«Lui era un attento osservatore, sia della povera gente che dell’alta borghesia. Sapeva definire i mali della società ma allo stesso tempo guardava con attenzione e compassione anche i meno felici. Ha osservato tante portinaie e osterie dove gli anziani andavano a bere. Egli stesso era un frequentatore di osterie e tanta produzione poetica l’ha scritta sui tavolini delle osterie, come molti poeti francesi, come Rimbaud e Apollinaire». Lei ha interpretato tanti personaggi di spicco: Enzo Tortora, Padre Pio, Bernardo Provenzano, Aldo Moro, Vittorio De Sica... Personaggi come questi o come lo stesso Trilussa, che hanno fatto storia sono a suo avviso ancora ricordati o il pubblico li ricorda solo quando il cinema e la televisione ripropongono le loro vite? «C’è un passato remoto in cui Trilussa è stato molto letto e studiato a scuola. Non era solo un poeta romanesco, di cui la Mondadori ha stampato decine e decine di edizioni della sua opera. Ha avuto una fortuna letteraria molto importante, non solo nel suo tempo; e forse l’ha avuta di più negli anni 50 e 60, periodo in cui fu nominato senatore a vita; anzi, “senatore a morte” come disse egli stesso perché morì poco dopo. Questo personaggio divenne una figura singolare e prima degli anni 70 fu molto studiato nelle scuole, specie tra quelli della mia generazione. C’è molta poesia nel film. Io stesso ne declamo tantissima. Ci sono la storia d’amore con una ragazzina alla quale ha fatto da pigmalione, Valentina Corti, essendo egli anche attore, e tanti momenti teatrali, come gli incontri con D’Annunzio, il Papa e Mussolini, che ci fanno vedere gli ambienti romani di quegli anni. Molti mi domandano: ma lei, pugliese, fa un romano? Ma che vuol dire? Intanto siamo attori e non facciamo i pugliesi tutta la vita. È sicuramente più difficile fare Shakespeare a teatro, poi si può fare Trilussa». Non mancano riferimenti a Damiano Damiani, morto giovedì, con cui Placido girò “La Piovra”: «La Piovra a distanza di quasi trent'anni rimane un successo mondiale ad oggi ineguagliato. Ha dato alla Rai un nuovo volto, c'è un prima ed un dopo. Se mi posso permettere, bisognerebbe fare un po’ più di fiction come quella anche oggi. Il servizio pubblico dovrebbe aumentare l’im - pegno civile nei confronti della fiction. Sono i cittadini e la società di oggi che lo richiedono. Mi piacerebbe in omaggio a Damiano Damiani fare la regia di una nuova “Piovra”». L’attore e regista, con più di 80 film all’attivo, ricorda: «La Piovra fu qualche cosa di inaspettato. Io avevo appena interpretato un mafiosetto nel film “Un uomo in ginocchio”, poi Damiani mi disse che aveva fatto una battaglia per avermi perché in Rai circolavano altri nomi, tra cui Giuliano Gemma e Franco Nero. Quando Damiani mi chiamò però gli dissi che pensavo di non essere adatto al ruolo di un commissario, ma lui, che mi conosceva bene anche nel privato, mi disse: voglio fare un commissario della porta accanto. Così mi ha reso famoso in tutto il mondo. Gli devo tutto».
Potrebbe darci qualche anticipazione sui suoi lavori futuri?
«Ho finito la tournée di “Re Lear” e ad aprile uscirà il mio ultimo film da regista, girato in Francia, “Il cecchino”, che è stato presentato al Festival del Cinema di Roma. Probabilmente farò una tournée estiva nei teatri della Magna Grecia perché Albertazzi, che di questi teatri è direttore, mi ha chiesto di farla in Calabria e Basilicata. Sarà in generale però un’estate per godermi la famiglia ».