Dopo aver assunto l’incarico di “difensore” del pm palermitano Nino Di Matteo davanti al Csm, il procuratore aggiunto di Messina Sebastiano Ardita interviene sulla vicenda che vede il magistrato palermitano incolpato nel procedimento disciplinare aperto a suo carico dal pg della Cassazione. Al centro della vicenda c’è un’inter - vista rilasciata lo scorso mese di giugno da Di Matteo, perché con quelle frasi secondo il pg della Cassazione il pm palermitano avrebbe rivelato l’esistenza delle telefonate intercettate tra l’ex ministro Nicola Mancino e il capo dello Stato, violando il dovere di riserbo a cui è tenuto. «La presenza numerosa di attestazioni di stima in favore di Nino Di Matteo – dichiara l’aggiunto Ardita –, fa comprendere che al di là delle iniziative che potranno essere assunte esiste già nei suoi confronti un atteggiamento diffuso di affettuosa solidarietà. Forse qualche dubbio sollevato in buona fede ha impedito tante altre esplicite adesioni. La conoscenza del merito della vicenda ed alcuni chiarimenti, a vantaggio dei tanti che fortunatamente sconoscono la materia disciplinare, aiuterà tutti a saperne di più. La giurisprudenza del Csm –prosegue Ardita –, è di grande conforto nell’escludere categoricamente rilevanza di illecito al fatto in sé di rilasciare intervista senza autorizzazione del capo dell’ufficio. Si tratta di una interpretazione giusta che pone un piccolo argine alla diffusa gerarchizzazione delle procure». Poi il magistrato entra nel merito della vicenda: «Rimane perciò solo da valutare il contenuto di ciò che è stato detto. Guardata alla luce di tutte le norme del decreto legislativo 109, delle disposizioni che impongono diligenza e riserbo da utilizzare nelle esternazioni e della giurisprudenza disciplinare del Csm, la breve intervista di Nino Di Matteo è ineccepibile, perché è solo un atto che, con misura, ristabilisce la verità dei fatti. La notizia (vera) della esistenza delle telefonate del Presidente era già presente sulla stampa da giorni. E insieme a questa era stata anche diffusa la notizia (falsa) che i contenuti di quelle conversazioni fossero rilevanti per le indagini. Nino dunque non ha affatto dato notizia delle telefonate. Ha solo ristabilito la verità, precisando che le telefonate del Capo dello Stato non erano minimamente rilevanti. Richiesto di sapere cosa avrebbero fatto delle registrazioni che erano nel processo, ha risposto “Noi applicheremo la legge”. Quelle da distruggere verranno distrutte, quelle da trascrivere verranno trascritte». Nel merito Ardita afferma che si tratta di una iniziativa «incomprensibile ». Ecco il passaggio cruciale della sua dichiarazione: «Da un esame sommario di casi analoghi, comportamenti come questo sono stati costantemente ritenuti irrilevanti giacché carenti del requisito dell’esser “diretti a ledere indebitamente i diritti altrui. Ecco perché l’iniziativa di avvio del procedimento disciplinare basata su questi presupposti appare incomprensibile ». «Sono sicuro che le attività sin qui svolte costituiscano un atto dovuto e l’ufficio del Pg avrà tempo e modo di valutare una richiesta di non luogo a procedere alla sezione disciplinare del Consiglio, impedendo così che il pm della trattativa Stato-mafia – sul - la base di questo nulla – continui ad andare in udienza reggendo il peso di un’azione disciplinare. Comunque vada, la strada che percorreremo sarà quella di dare la massima pubblicità tra i magistrati ai contenuti di questo procedimento, sul quale avremo moltissimi argomenti da spendere ». Ma Ardita va oltre nella dichiarazione di ieri, e si rivolge a tutti i suoi colleghi: “Siamo consapevoli che lo strumento disciplinare è una fonte di orientamento culturale. Vorremmo che colpisse gli infedeli e non i valorosi. La desertificazione delle procure forse non è solo un problema organizzativo ma una conseguenza del diradarsi di quello che alcuni di noi conoscono come lo “spirito” del 1992: che ti faceva decidere di venire a fare il magistrato in Sicilia, quando ne ammazzavano due all’anno. Nell’immobilismo della magistratura associata, il quieto vivere potrebbe farsi spazio in questo nostro mestiere a danno dei cittadini, dell’indipendenza e dello Stato di diritto».