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Il cardinale Colombo
o il tenente Colombo?


di Donatella Cuomo

Quando c’è Papa Pio IX, quasi sicuramente c’è una fiction «liberamente ispirata a “In nome del Papa Re” di Luigi Magni», film di grandissimo successo nel 1977, e il protagonista attuale non poteva che essere Gigi Proietti, interprete della romanità verace e scafata, capace tanto di grandi gesti quanto di azioni meno nobili, ma non per questo meno apprezzabile. Il regista Luca Manfredi avrà voluto rendere omaggio a suo padre Nino, che del film di Magni fu grandissimo protagonista, a distanza di oltre trent’anni. Purtroppo, però è apparso legato, più che dal ricordo, dalle esigenze commerciali, dalla necessità di realizzare un prodotto basic per il piccolo schermo e, pur avendone la possibilità, non ha saputo (o voluto) entrare nel terreno minato del confronto tra il passato e il presente, periodi storici in cui la Chiesa appare, sia pure per diversi motivi, ugualmente travagliata. La capacità di affrescare la Roma papalina, con i suoi nobili e prelati e con la gente di un volgo pensante, le insidie del potere curiale e l’altruismo della solidarietà popolare, il dolore e l’i r onia, che rappresentano la cifra stilistica di Magni, non sono replicabili, non riportano il prodotto nuovo all’altezza di quello vecchio e anzi affliggono alquanto la capacità di immaginare. Nel film di Magni il pentimento, l’angoscia, la voglia di libertà, l’amore e la disperazione, insomma tutti quegli aspetti grondanti sentimentalismo, non si vedevano ma c’erano e, chi li voleva capire li capiva, visto che restavano affidati alla trama più che all’indagine psicologica. L’operazione “L’ultimo Papa Re”, in onda lunedì e ieri in prima serata su Raiuno, insomma, ha riportato sullo schermo una storia dai toni molto variopinti, ma l’ha sbiancata con una mano di modernità strumentale al nostro periodo e, quindi, alla possibilità di fare ascolti, ma molto lontana dalla contestualizzazione storica. Gigi Proietti, al quale non si poteva, ovviamente delegare tutto il peso della fiction, più che il cardinale Colombo, nel ruolo dell’investigatore sornione sembrava il tenente Colombo con la tonaca e senza l’impermeabile; i tre rivoluzionari aspiranti garibaldini erano stati presi, anche per gestualità, da un happy hour e deportati nel carcere papalino. Il resto non era da meno, con Lino Toffolo ridotto a macchietta, la Contessa che aveva appena finito le riprese di Elisa di Rivombrosa e tutti gli altri che sembravano venuti fuori da Rugantino, tanto i costumi li avevano già indosso.

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