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Governo e Quirinale,
la partita è unica


di Alberto Sensini

La metafora non è elegante ma istruttiva. A cinquanta giorni dall’apertura della crisi di governo tutto è fermo e come nei lavandini intasati si sentono venire dal fondo soltanto gorgoglii indecifrabili, rumori strani, risucchi cupi, mentre milioni di italiani aspettano sgomenti che questo allarmante ingorgo istituzionale abbia finalmente fine. Bersani attacca Renzi e trova “indecente” che il sindaco di Firenze lo inciti “a fare presto” ma allora la stessa accusa di “indecenza” il segretario del Pd dovrebbe indirizzarla ai vertici della Confindustria e del sindacato che proprio ieri hanno inviato alla classe politica la stessa invocazione a non perdere più tempo. Si dà il caso infatti che l’escamotage architettato da Napolitano con il consulto di una dozzina di saggi di vario colore non ha avuto il minimo effetto su chi deve accelerare le decisioni: da una parte i partiti politici, dall’altra l’intero Parlamento chiamato a partire dal 18 prossimo a scegliere il nuovo Capo dello Stato. Perbenismo istituzionale vuole che i due avvenimenti siano tenuti distinti, ma nemmeno il più ingenuo degli studenti di Scienze politiche accetterebbe una fandonia del genere: l’operazione Presidente avrà e non potrebbe non avere un peso decisivo nella soluzione dell’altro problema, ovvero la formazione di una nuova maggioranza e quindi di un nuovo governo. Il calendario comunque privilegia la soluzione dell’enigma Quirinale non foss’altro che per ragioni di tempo. In questo senso nulla è cambiato rispetto al passato. Il sistema dell’elezione del Capo dello Stato è infatti assurdo: la prassi radicata nella Costituzione nega che ci sia un dibattito parlamentare sulla scelta da fare e questo dà all’intera operazione quell’aria di incertezza, di intrigo, di clandestinità che colora l’intera operazione. Il che è tanto vero che in nessuna parte del mondo si eleggono così i Capi dello Stato. Morale: a poche ore dall’inizio del voto nessuno è in grado di sapere chi salirà sul colle più alto di Roma. Nelle ultime ore i grillini hanno rilanciato il nome di Prodi il quale smentisce («Io sono fuori») e tace ben consapevole che chi entra Papa in conclave esce Cardinale dalla Cappella Sistina. Non diversa è la radiografia dell’andamento della crisi di governo, con un Bersani bloccato dal veto di Berlusconi e fortissimamente deciso a non varcare mai la soglia del governissimo. Così consentendo al capo di centrodestra di minacciare il ricorso alle urne, come –dopo aver “bocciato” l’idea di Prodi al Colle –ha ripetuto ieri a Bari, ovvero a poche ore di mare dalla Grecia.

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