Il grave atto incendiario che nella notte tra martedì e giovedì ha distrutto quattro dei sei piani del palazzo che ospita i "Magazzini Lea", il più grande emporio di oggetti per la casa della provincia di Messina, può essere considerato un "atto terroristico", un "colpo di coda" del racket delle estorsioni controllato dalla famiglia mafiosa dei "Barcellonesi" i cui vertici sono stati decapitati dalle operazioni antimafia, per colpire – per ritorsione – un luogo simbolo del fiorente commercio di un tempo. Questa la convinzione che si coglie tra gli investigatori. Il racket, peraltro, teme gli effetti dei recenti arresti che in pochi mesi hanno consentito di cogliere con le mani nel "sacco" due emissari del pizzo nell'attimo in cui intascavano i soldi delle rate fissate per le feste comandate. Si fa inoltre osservare come il palazzo che ha ospitato per ben 43 anni le merci di un moderno emporio rimasto sul mercato per l'economicità dei prezzi praticati e per la varietà delle merci offerte alla clientela, sia ubicato a poca distanza dal "cuore" del quartiere di San Giovanni su cui ruota il gruppo più agguerrito di estortori a cui appartenevano gli ultimi due arrestati mentre ritiravano le mazzette pretese dai commercianti vittime delle estorsioni, come riferiamo in questa stessa pagina. Del gruppo di San Giovanni che raccoglie la manovalanza della criminalità organizzata, facevano parte Carmelo Giambò, che due anni fa prima dell'arresto per l'operazione Gotha, era scampato miracolosamente pur restando gravemente ferito a due attentati e Giovanni Perdichizzi, ucciso nell'agguato mafioso teso nel bar di Sant'Antonino. I due fatti di sangue sarebbero stati generati da un regolamento di conti interno alla criminalità organizzata che preferisce ricorrere all'eliminazione dei soggetti che commetterebbero "errori imperdonabili". I carabinieri della compagnia di Barcellona, al comando del capitano Filippo Tancon Lutteri, stanno lavorando intensamente al caso per consegnare al più presto un primo rapporto al magistrato inquirente, il sostituto procuratore Francesco Massara. La pista privilegiata è quella del racket, dell'azione dimostrativa di "forza" che allo stesso tempo denuncia una "debolezza" del gruppo criminale. La regola è sempre la stessa: "colpire uno per educare tutti". I "Magazzini Lea" è stata la prima azienda commerciale che negli anni 70, in particolare a metà del decennio, subì ben sette attentati dinamitardi. Un attentato fu compiuto persino di giorno con la collocazione di un ordigno esplosivo sul pianerottolo del primo piano dell'ala da cui si accede agli appartamenti del quinto piano e al piano attico. Ad accorgersi della presenza di una borsa abbandonata fu un dipendente della stessa Pretura i cui uffici al tempo erano ubicati al secondo piano della stessa palazzina. Fu allora il defunto proprietario Luciano Coppolino – così come ricordano i tre figli –a prelevare quella borsa che conteneva una bomba il cui scoppio era regolato a tempo e portarla fuori per riporla dietro un angolo del palazzo. L'ordigno esplose e attinse ad un tallone lo stesso commerciante che fortunatamente si era allontanato quanto bastava per mettersi in salvo. Le cronache riportate negli annali della “Gazzetta” ancora conservati dalla famiglia Coppolino raccontano di una sequela di attentati, ben cinque, che si verificarono nel solo 1974 e precisamente il 28 marzo, 11 maggio, il 7 luglio, il 29 ottobre, il 3 novembre, tutti commessi con ordigni esplosivi che sono sempre scoppiati davanti alle pareti vetrate dei Magazzini Lea. Adesso i proprietari che per anni hanno lottato da soli, quando ancora non esistevano le associazioni antiracket, sono in difficoltà perché a proprie spese dovranno rimuovere le macerie ed i residui dell'incendio che sono considerati rifiuti speciali. «Tutti, Comune compreso, se ne sono lavati le mani ». Già da ieri con una squadra di operai l'area attorno ai resti del palazzo è stata circoscritta con una staccionata costruita a spese degli stessi commercianti. Nei confronti dei proprietari il presidente del Consiglio comunale Angelo Paride Pino, ha espresso pa- role di condanna per i "gravi fatti e le intimidazioni avvenute nell'ultimo periodo. Dalle azioni si desume che nel nostro hinterland vi è una ripresa dell'attività criminale anche con gesti eclatanti che suscitano ansia e preoccupazione nella nostra comunità" e per questo il presidente del Consiglio "chiede un intervento forte delle Istituzioni e del Prefetto affinché si vigili ancora di più per evitare simili episodi e rassicurare i nostri concittadini". Puntuale l'analisi dell'associazione antimafie "Rita Atria" che in un documento afferma come «l'attentato intimidatorio che ha distrutto i "Magazzini Lea" di Barcellona certifica che siamo in "guerra". Una guerra condotta a colpi di pistola, teste mozzate di animali, auto bruciate e, ora, l'incendio di ben quattro piani di un magazzino storico. Una "guerra" dichiarata da una criminalità organizzata che, persi, almeno momentaneamente, i propri riferimenti storici, tenta di riprendersi il territorio con il terrore. È il momento di stare uniti e di reagire con forza. A chi propugna soluzioni repressive diciamo che sono benvenuti più uomini e mezzi alle forze dell'ordine e alla magistratura, ma diciamo, altresì, che non è questa la soluzione del problema. La soluzione è fare fronte comune con convinzione, utilizzando l'arma della denuncia e quella dei comportamenti irreprensibili. La soluzione è stare insieme perché l'unione fa la forza mentre, la solitudine espone inesorabilmente chi è solo all'estorsione e alla violenza». L’associazione ricorda il ruolo di «“Liberi Tutti", che ancora vede pochi associati » e rileva che «non si può essere indifferenti o, peggio, voltarsi dall'altra parte, e poi stupirsi per le intimidazioni violente»
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