Nasce l’esecutivo Pd-Pdl con tante donne, un terzo della compagine, e niente big. «Enrico Letta è stato l’artefice della nascita di questo governo, io l’ho assecondato». Excusatio non petita, quella di Giorgio Napolitano, che un attimo dopo la nascita del governo appunta solo sul petto del giovane premier, la medaglia delle larghe intese. Ma l’anziano Presidente lascia l’impronta della sua mano nel governo che nasce, fin dalla scelta di chi lo guiderà: un giovane quarantenne dall’i mmagine nuova, nonostante i molti ruoli politici rivestiti negli anni, preferito dal Capo dello Stato ad un nome di gran prestigio ma meno fresco e più divisivo, Giuliano Amato. Insieme al dottor Sottile escono di scena d’un colpo una serie di altri big (da D’A l ema a Berlusconi, da Brunetta a Bersani e Monti) per lasciare nella foto di gruppo del governo che giurerà oggi 21 facce in tutto simili a quella di Letta: politici ma anche “c o m p e t e nti”, nuovi ma esperti, propensi al dialogo ma rigorosa espressione non solo dei diversi partiti, ma delle diverse componenti di Pd, Pdl, Scelta Civica (nel pieno rispetto del vecchio Cencelli). «Era ed è l’unico governo possibile», lo blinda Napolitano, che in mezzo alle tante sorprese, alle donne e ai nomi nuovi, ha piantato d’intesa con Letta le quattro pietre angolari del nuovo esecutivo: Fabrizio Saccomanni all’E c onomia, Anna Maria Cancellieri alla Giustizia, Enrico Giovannini al Lavoro. Tre dei dieci “saggi” di Napolitano (Gaetano Quagliariello e Mario Mauro, oltre a Giovannini) entrano dalla porta principale nel governo, la dottoressa congolese Cecile Kyenge alla Integrazione primo dei ministri di colore della Repubblica italiana, la grinta dell’olimpionica Josefa Idem al servizio dello Sport e delle Pari Opportunità, la trentasettenne Nunzia De Girolamo all’Agricoltura, all’Istruzione la rettrice del Sant’Anna di Pisa Maria Chiara Carrozza, un’eccellenza del mondo accademico, pisana come Letta. Dovendolo catalogare, questo è un governo Pd-Pdl, il primo che dal ‘47 davvero mette insieme esponenti di vertice di due partiti più grandi (il vicesegretario di un Pd ormai senza segretario ed il segretario del Pdl, che oltre al essere vicepremier ha un ministero di peso, gli Interni). Silvio Berlusconi - facendosi da parte da leader responsabile - esclude con sé big dall’immagine divisiva come D’Alema, Amato, Bersani, Monti. Ma l’altra faccia della medaglia del «rinnovamento generazionale » è che molti dei ministri vengono dalla seconda fila, esprimono con il bilancino le diverse e sfilacciate anime di Pd (gli ex Ds protestano perchè si sentono sottodimensionati rispetto ai cattolici), Pdl e Scelta Civica. Il governo resta esposto al rischio di impallinamento nel voto di fiducia da parte dei molti detrattori di Pd e Pdl. Ma intanto si gira pagina, si cerca intorno allo «sforzo paziente e tenace» di Letta una nuova alchimia politica, si fa ricorso a nomi talmente poco noti che alcuni dei neo-ministri non riuscivano ad essere contattati dal Quirinale, perchè stavano vivendo un normale sabato mattina di relax con cellulare spento e nessun sospetto di dover indossare grisaglie. E intanto Renzi, che afferma di aver appreso con gioia l’elenco dei ministri («migliori di quanto previsto») non manca di rimarcare come una vittoria anche sua il fatto che il governo appena nato «mandi in pensione i big o i presunti tali». Ma a questo punto dovrà calibrare bene le sue prossime mosse.
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