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Campisi: i giovani
devono allontanarsi
dalla mafia

salvatore campisi

Essendo che mio padre, essendo che i Barcellonesi. Lo ha ripetuto tante volte ieri mattina Salvatore Campisi, il pentito-ragazzino di Terme Vigliatore che ha deciso di cambiare strada perché a 28 anni vuole avere un’altra occasione per guardare in faccia suo figlio. E ieri mattina suo padre Agostino, che di anni ne ha 50, da solo, nella grande gabbia di destra della corte d’assise d’appello, una polo Nike a righe e un pantalone scuro, gli altri imputati tutti dall’altro lato, mentre lui deponeva per la prima volta come collaboratore di giustizia è rimasto in silenzio ad ascoltare quel figlio “dissociato”, s’è pulito almeno una dozzina di volte gli occhiali con fare maniacale, ha fatto ogni tanto qualche cenno con la testa, ha parlottato spesso con i suoi avvocati scorrendo tra le sbarre un verbale evidenziato di giallo e arancione. Un figlio che accusa il padre, il padre che rimane in silenzio. Un’udienza lunga quella di ieri, un grappolo amaro di storie di vita e di mafia, gestita con la solita pacatezza dal presidente Carmelo Marino, per il processo “Vivaio”, ovvero le infiltrazioni mafiose nella gestione delle discariche dell’ultimo decennio, il business molto redditizio dei rifiuti che insieme all’eolico dopo i grandi appalti stradali e ferroviari degli anni ’90 ha dato da mangiare a Cosa nostra barcellonese. In aula, in un angolo, superscortato, ieri mattina c’era anche il boss di Mazzarrà Sant’Andrea Carmelo Bisognano, il primo che s’è pentito aprendo una nuova stagione di arresti eccellenti per la mafia del Longano. Siamo già in grado d’appello, nel primo furono condanne pesanti per capi e gregari, sul banco dell’accusa ci sono adesso il sostituto procuratore generale Enza Napoli e il collega della Dda Giuseppe Verzera, applicato per seguire tutto anche in appello. E proprio lui, che dall’estate del 2012, era il 18 luglio, sente Salvatore Campisi, con il quale ha riempito decine di verbali molti dei quali ancora secretati e clamorosi, ieri mattina ha cominciato ad interrogarlo in aula per fargli raccontare i pesi e i contrappesi della famiglia mafiosa barcellonese, la gestione del suo piccolo gruppo “coperto” che per un paio d’anni ha seminato il terrore a Terme Vigliatore chiedendo il pizzo e incendiando «per conto mio», senza che i “vecchi” sapessero nulla e poi fu «regolarizzato», la benedizione dei potenti boss palermitani Lo Piccolo, la geografia dei capi e dei gregari lungo la zona tirrenica, la mafia “vecchia” e quelle nuova, i pagamenti ai detenuti in carcere, le conoscenze con Tindaro Calabrese, Nunziato Siracusa, Carmelo D’Amico, la volontà di «distruggerli» quando le giovani leve parlavano delle vecchie gerarchie ormai in carcere per le operazioni “Gotha”e“Pozzo”. Campisi ha detto più volte, parlando per esempio della gestione delle discariche, che «la mafia si metteva d’accordo con le imprese e con gli ingegneri», oppure che si pagava il pizzo «a festa », ovvero per Natale, Pasqua e Ferragosto. Del padre Agostino ha parlato a lungo, senza batter ciglio o incrinare la voce, di spalle, in videoconferenza («... si occupava delle estorsioni diciamo nella zona di Terme Vigliatore e Oliveri). Raccontando del gruppo mafioso di Mazzarrà e delle “nuove leve” ha fatto anche i nomi di Angelo Bucolo, Carmelo Pirrone («è il nuovo responsabile»), Giuseppe Reale. Verzera è andato avanti per parecchio tempo, oltre un’ora, senza scoprire troppo le carte future e attenendosi ai fatti della “Vivaio”. Poi hanno iniziato gli avvocati per il controesame, tra gli altri Tino Celi, Ugo Colonna, Maria Cicero, Marco Panella. Ma il silenzio nell’aula è calato e s’è respirato quando il pentito- ragazzino ha spiegato i motivi del suo allontanamento dalla mafia barcellonese e ha lanciato un vero e proprio appello a quelli della sua generazione, non ancora trentenni, che sono “fuori” e scalpitano parecchio per colmare i vuoti lasciati dalla vecchie gerarchie, sparando e annientando le vite e la speranza di Barcellona e degli altri paesi tirrenici. Ecco quello che ha detto Salvatore Campisi. «Ho deciso di collaborare perché ho capito che questa vita non porta niente di buono io ancora sono giovane e credo di avere un’altra possibilità dalla vita, facendo questa vita da mafioso, che prima mi sentivo una persona importante, che poi giustamente non valgo niente, ho perso le cose più importanti, la mia compagna e mio figlio, e per questo voglio dimostrare che non sono quella persona, che valgo tanto, voglio dimostrare alla mia compagna ma soprattutto a mio figlio che è la gioia della mia vita, di essere un buon padre se me lo permetteranno. E con la fiducia dei magistrati che mi hanno dato questa fiducia e questa opportunità che io ringrazio, voglio dimostrare che sono una persona migliore e anche la famiglia e le persone che mi stanno vicino, di essere una persona migliore, per questo ho deciso di collaborare e porterò questa collaborazione avanti, fino a quando potrò portarla avanti». Poi ha detto altro: «Se posso dire un’altra cosa che non c’entra niente con la mia collaborazione però mi sento di dire da persona cambiata vorrei dare un appello ai giovani d’oggi, che non si lascino costringere da parenti o amici o conoscenti, di non lasciarsi convincere, perché si distruggono la vita e non è una cosa che un giovane di oggi per qualche momento di padronanza, o per soldi, o un po’ di droga, si deve distruggere la vita. Perché Iddio ci ha dato la libertà, l’amore e la felicità. E non è giusto che con queste associazioni li distruggiamo. Io ormai ho distrutto la mia vita ho fatto tanti errori, credo di recuperare, ma credo che i giovani di oggi possono ancora recuperarsi, di uscirsene da questo giro mafioso di queste famiglie o di non far parte di queste famiglie, è una cosa che dico col cuore e che dimostrerò. Ripeto, ringrazio i magistrati che mi hanno ascoltato e mi hanno dato questa opportunità dalla vita».

Salvatore Campisi ha compiuto 28 anni il 30 marzo scorso. Il “boss ragazzino”, già condannato in abbreviato per l’operazione antimafia “Vivaio”, è stato arrestato nell’ambito dell’operazione “Mustra” nell’aprile del 2012, in pratica un’indagine sulle nuove leve mafiose del comprensorio tirrenico che si erano organizzate approfittiando del fatto che “i vecchi” b a r c e llonesi erano tutti finiti in carcere per le fondamentali operazioni antimafia degli ultimi anni “Gotha” e “Pozzo”. La “Mustra” per altro verso ha evidenziato come sia stato determinante il ruolo di giovani commercianti e imprenditori che hanno avuto il coraggio di denunciare le richieste di “pizzo”, e anche il ruolo di altri imprenditori della vecchia generazione, evidentemente abituati a pagare gli estortori. Campisi è figlio del cinquatenne Agostino, uomo della “vecchia guardia” b a r c e l l o n ese, indicato anche come “r e ggente” per anni del gruppo mafioso di Terme Vigliatore. Salvatore Campisi come lui stesso ha dichiarato nei verbali ha gestito negli ultimi anni le estorsioni presentandosi come esponente della famiglia mafiosa dei Barcellonesi, ed è stato fotografato dai carabinieri del Ros durante le indagini della “Mustra” proprio mentre intascava una “mazzetta”. Nei verbali Campisi ha parlato di tanto altro. Delle estorsioni a Natale, Pasqua e Ferragosto, dei pesi e i contrappesi della famiglia mafiosa barcellonese con le sue varie diramazioni criminali. Ha accusato perfino al padre Agostino di cui prese il posto nelle gerarchie di comando, oppure ha raccontato degli affari e delle tangenti della discarica di Mazzarrà Sant’Andrea pagate dalle imprese e del mantenimento dei mafiosi in carcere. Ha evidenziato l’ingordigia economica dei Barcellonesi, ha riferito su alcuni vertici palermitani con i boss Lo Piccolo per designare il nuovo “rappresentante” di Cosa nostra nel Barcellonese in Tindaro Calabrese. Ha spiegato termini come “sotterrare” o “b u t t are a terra”.

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