Si è conclusa con un arresto una complessa vicenda che ha visto protagonista un commerciante di Milazzo entrare in conflitto per questioni ereditarie con alcuni parenti. L’uomo, Francesco Tricamo, 52 anni, ieri mattina si è visto notificare dagli agenti del commissariato di Milazzo un’ordinanza di custodia cautelare ai domiciliari emessa dal gip presso il Tribunale di Barcellona, Rosaria D’Addea, su richiesta del sostituto procuratore Giorgio Nicola. Tricamo è accusato di minacce ed estorsione nei confronti di due sue anziane zie (sorelle del padre da tempo scomparso) con le quali aveva un contenzioso per la proprietà di diversi beni anche di un certo valore. Una vicenda che si trascina da diverso tempo e che in passato aveva portato al deferimento dell’uomo da parte delle forze dell’ordine che da alcuni anni svolgevano attività investigativa sulla base anche delle denunce delle parti lese, raccogliendo parecchi elementi accusatori nei confronti del Tricamo. Prima di questo epilogo infatti le parti in causa si erano denunciate a vicenda. I retroscena della complessa storia sono stati illustrati ieri pomeriggio nel corso di una conferenza stampa dal vicequestore del Commissariato, Antonio Rugolo. Dall’attività investigativa condotta, sarebbe emerso che il commerciante, sin dai primi mesi del 2011, dopo essersi reso conto di non poter disporre della parte di beni ereditari che secondo lui gli spettavano, avrebbe iniziato ad inviare delle lettere anonime all’indirizzo delle due sue zie, inserendo in alcune della cartucce calibro 12, minacce e in alcuni casi richieste di denaro. Lo stesso Tricamo, difeso dagli avvocati Fabrizio Formica e Giorgio Leotti avrebbe posto in essere un insieme di molestie tali da cagionare alle due anziane parenti un grave e perdurante stato di ansia nonché un fondato timore per la loro incolumità. «State attente preparate 5000 euro se non vi bruciamo le auto. Ti telefono io non chiamate gli sbirri! O saranno guai». Oppure: «Ancora non avete portato il denaro se volete vivere in pace dovete pagare». Queste alcune delle frasi contenute nelle lettere anonime che le due anziane donne ricevevano nella cassetta della posta spesso unitamente a cartucce di pistola o di fucile e che in più circostante hanno denunciato alla Polizia. Ma le minacce –come ha spiegato lo stesso vicequestore –non riguardavano solo i parenti, bensì anche i legali che stavano seguendo su incarico delle due donne, la controversa causa civile relativa all’eredità. In più circostanza infatti l’arrestato avrebbe minacciato –era il 2010 – i due avvocati messinesi delle donne allo scopo di farli desistere dal loro mandato. Minacce che avrebbero costretto i due legali addirittura a far installare delle telecamere nel loro studio di Messina e di vivere con la preoccupazione di poter subire danni alla loro incolumità, al punto da indurli a denunciare i fatti alla Squadra mobile messinese. Ancora peggio in precedenza era andata ad un altro noto legale milazzese che sarebbe stato picchiato dal Tricamo che gli contestava alcune affermazioni da lui riportate nell’atto di citazione del giudizio di divisione tra gli eredi e che a dire del commerciante l’avrebbero danneggiato. Atteggiamenti aggressivi e soprattutto continuativi che il giudice ha equiparato a quelli tipici di uno stalker. Anche perché – si rileva – privi di una minima giustificazione. Alla base di tutto, quell’eredità contesa che da oltre 15 anni si trascina nelle aule giudiziarie e che ha provocato nel Tricamo tanto rancore e astio da indurlo al compimento di azioni incontrollate e soprattutto illecite, come oggi gli contestano gli inquirenti. Un’eredità che risale al 1967 dopo la morte del nonno di Francesco Tricamo, padre delle due zie finite nel mirino. Infatti in quella circostanza uno dei fratelli, Santi, il padre di Francesco e poi quest’ultimo, si sono opposti alla divisione dei beni paterni, aprendo così il contenzioso davanti al Tribunale di Barcellona. Tricamo contesta alle due zie, e ad una in particolare che in nome e per conto di tutti gli eredi amministra i beni ereditati dal padre, di essersi impossessata ingiustamente di somme di denaro. «Nostro nipote Tricamo Francesco ce l’ha con noi – hanno scritto nella denuncia-querela le due zie –perché in atto gli introiti dei beni vengono depositati in una cassa comune in attesa della sentenza del Tribunale ed egli non può attingere ad alcuna somma di denaro. Si è giunti alla causa di divisione perché nostro fratello Santi (il padre dell’arrestato scomparso da diverso tempo) temporeggiava senza soluzione di continuità impedendo di fatto un comune accordo». Non è stato facile risalire a Francesco Tricamo quale autore delle lettere e di tutti gli atti contestati e come emerso nel corso della conferenza di ieri, gli investigatori hanno dovuto portare avanti una delicata attività tecnica con ricerca di impronte papillari latenti, nonché comparazioni calligrafiche manoscritte e dattiloscritte. Attività portate avanti grazie all’opera della polizia scientifica e del consulente del pubblico ministero, dottor Giuseppe Sofia.
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