Al di la di ogni ragionevole dubbio Silvio Berlusconi ha pagato Ruby per fare sesso pur sapendo che era minorenne e, abusando del suo ruolo di presidente del Consiglio, ha fatto pressioni sui vertici e i funzionari della Questura di Milano affinché la rilasciassero con lo scopo di evitare che rivelasse quel che era accaduto ad Arcore. Con questa convinzione il procuratore aggiunto di Milano Ilda Boccassini ha chiesto per l’ex premier, imputato per concussione e prostituzione minorile nel processo con al centro la giovane marocchina, sei anni di reclusione, l’interdizione perpetua dai pubblici uffici e l’interdizione dagli uffici legali per sei anni. È durata circa sei ore la requisitoria di Ilda Boccassini che, con il pm Antonio Sangermano, rappresenta la pubblica accusa nel dibattimento sul Rubygate. Un intervento nel quale il pm ha messo in fila tutti gli elementi di prova emersi «esclusivamente dalle carte processuali» e che si è snodato in un crescendo di accuse fino a sostenere che «in nome della gravità dei reati commessi » e per il suo comportamento processuale («ancora una volta si è difeso non nel processo ma fuori dal processo») il Cavaliere «non merita le attenuanti generiche». Attenuanti che, in passato, lo hanno «salvato» nel procedimento del Lodo Mondadori, quello sulla corruzione dei giudici. Per arrivare alla richiesta di condanna a sei anni, pena definita dalla difesa «altissima», il pm, dopo aver premesso che l’ex premier è finito alla sbarra per due leggi introdotte dal suo Governo per «tutelare ancora di più il minore», ha ricostruito punto per punto la vicenda in base non solo alle testimonianze rese in aula, ma soprattutto alle intercettazioni e ai documenti raccolti nel corso dell’inchiesta. Ha raccontato di Ruby perennemente in fuga dalle comunità protette e del suo trasferimento a Milano, nel gennaio del 2010, sottolineando che, ancor prima di frequentare Villa San Martino, anche per i parecchi contanti che aveva in tasca, «non ci sono dubbi che si prostituisse». E poi del suo “sbarco”, a partire dal 14 febbraio di tre anni fa, nella residenza milanese del leader del Pdl dove era stato organizzato «un sistema prostitutivo» per il quale aveva, lei «la più gettonata del momento », «da Berlusconi direttamente quello che le serviva per vivere in cambio delle serate». «Non vi è dubbio – ha proseguito il magistrato – che Karima El Maroud aveva fatto sesso con Berlusconi e ne aveva ricevuto dei benefici» , quantificati poi nei circa 4,5 milioni di euro prelevati, questa è l’ipotesi, dal conto gestito da Giuseppe Spinelli nel giro di tre mesi, dopo che il Rubygate era scoppiato e la minorenne sentita dagli inquirenti ma anche da persone «di riferimento» dell’ex premier in un misterioso interrogatorio datato 6 ottobre 2010. Per il pm, poi, in molti nell’entourage dell’allora capo del Governo sapevano che era minorenne: innanzitutto Lele Mora, Emilio Fede e Nicole Minetti e, ovviamente, Caterina Pasquino, l’amica con cui era andata a vivere. Ed è proprio a causa dell’amica che Ruby il pomeriggio tra il 27 e il 28 maggio venne fermata e portata in Questura dove, dopo esser stata identificata e fotosegnalata avrebbe dovuto essere affidata, come aveva disposto il pm monorile Annamaria Fiorillo, a una comunità protetta. Invece, dopo un susseguirsi di telefonate tra Caterina Pasquino e Michelle Coicecao, la prostituta brasiliana da cui la bella “Rubacuori”si era trasferita e Nicole Minetti, Berlusconi (quella sera si trovava in Francia per un vertice europea) venne avvertito. Da qui la sua telefonata all’allora capo di Gabinetto Pietro Ostuni, la «colossale balla» del fatto che fosse nipote di Mubarak, e quindi il suo rilascio. «Teoremi, illazioni, forzature, falsità ispirate dal pregiudizio e dall’odio, tutto contro l'evidenza, al di là dell’immaginabile e del ridicolo », ha tuonato Berlusconi facendo peraltro sapere di avere snobbato la requisitoria della “nemica” Boccassini alla quale «tutto è consentito» perché protetta dallo «scudo di una toga».
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