di Anna Mallamo
La Piramide si sveglia ogni anno. Non che dorma, nel resto del tempo: di vedetta, cima d’una cima, replicando la natura triangolare dell’Isola, spartisce nuvole e cieli, raccoglie l’energia tellurica e ferrosa del suolo, invecchia della vecchiaia biologica dell’acciaio corten, quello delle navi, che ha lo stesso colore della terra e delle sue vene profonde, la stessa capacità di voce e risonanza. Ma al solstizio d’estate – quando il tempo gira sui cardini e la luce s’allunga fino a vincere la contesa infinita col buio – la Piramide viene aperta, e per tre giorni diventa tempio, casa, riparo, teatro, strumento. È il Rito della Luce, celebrato dal popolo bianco che si reca, disciplinato e gioioso, da tutta la Sicilia e non solo, in un luogo altrimenti dimenticato, come ce ne sono tanti in Sicilia: l’altura di Motta d’Affermo custodita dagli ulivi, protesa tra le valli, affacciata sui mari.
La Piramide 38° Parallelo di Mauro Staccioli è più che un’opera – l’ultima di Fiumara d’Arte, la creazione del mecenate Antonio Presti, imprenditore di bellezza che, spesso in aspra contesa con le burocrazie, ha disseminato d’opere il territorio, all’estremo lembo della provincia di Messina. La Piramide, nel disegno di Presti divenuto ora il progetto della Fondazione Fiumara d’Arte, fa parte del luogo, lo completa, ne convoglia lo spaventoso potenziale di bellezza e forza. L’annuale Rito della Luce – appuntamento d’artisti d’ogni sorta e arte che si recano alla Piramide per attingere alla sua forza e per portarne di nuova, con la poesia, la musica, la danza – serve proprio a questo.
Festa spontanea, senza programma perché il programma lo scrive la luce, col suo ruotare nel cerchio del cielo: una festa che quest’anno è cominciata all’alba, quando il primo drappello, vestito di bianco, è giunto alla Piramide attraverso il sentiero segnato dalle fiaccole. Il giorno s'è manifestato con lentezza e potenza, evocato dai tamburi e dai cori, dalle parole potenti della Grande Madre (Patrizia D’Antona) che, dentro la Piramide – al centro della sua cova di sassi, sorta di uova preistoriche che il suolo ha regalato durante gli scavi per realizzare l’opera e che all’opera sono state restituite, nel segno dello scambio profondo tra territorio e uomini, com’è nello spirito della Fondazione – recitava le parole di Sant’Agostino sulla meraviglia del creato. Meraviglia che dilagava per i cuori, via via che la luce scopriva il vertice della Piramide e rivelava il “mandala” alato – opera di Giulia Di Natale e Claudio Montaudo – , l’uliveto di ulivi vestiti di bianco, le dita di legno alzate, le chiome protese nella posa drammatica propria degli ulivi, custodi sacri dell’altura ma non immuni dalla sua follia ventosa.
I musicisti, raccolti attorno alla Piramide, affacciati sul mare, accovacciati sotto gli ulivi, replicavano i suoni dell’alba, li facevano echeggiare e vibrare, li riprendevano nel canto, fino a che il giorno s’è sparso ovunque, soverchiando le fiaccole, accendendo il bianco dei teli, le ali del mandala, gli abiti del popolo bianco.
È stato solo l'inizio: il Rito s’è compiuto durante tutto il giorno, col pellegrinaggio ininterrotto della gente su e giù per gli uliveti e la Piramide, seguendo l’aggregarsi spontaneo degli artisti, che improvvisavano cori, performance, letture di poesie, jam session, nel segno della mescolanza e della condivisione.
Tre festival diversi – nell’estate dei festival di plastica e degli eventi al silicone – si sono incontrati sulla collina ferrosa (la Rassegna di musica diversa-Omaggio a Demetrio Stratos, il Dedalo Festival ed il Marranzano World Festival), facendo quello che da sempre è più naturale per gli artisti e i musicisti soprattutto: scambiarsi l’arte, la musica. Il marranzano che vibrava coi tamburi, il violoncello ch’armonizzava con le voci, i sonagli, i tamburelli.
E, miracolo dei miracoli, sotto un cielo clemente e velato – che s’è aperto solo al tramonto, per consentire al sole la sua sontuosa uscita di scena – si sono raccolte migliaia di persone (quasi cinquemila, in tutto il giorno), in un luogo in cui non si comprava e non si vendeva nulla (nemmeno l’acqua o le noccioline): un luogo in un certo senso opposto a quello descritto nel suo ultimo libro, una distopia potentissima, “Il condominio di Via della Notte”, da una dei partecipanti, la scrittrice e poetessa di Caltagirone Maria Attanasio, da sempre colonna portante delle iniziative della Fondazione. Un luogo – la Piramide – in cui l’homo oeconomicus non è la misura di tutte le cose, anzi non esiste nemmeno, e lascia il posto all’homo sapiens e sentiens, l’homo animus che scambia senza comprare, che attinge senza strappare, che dona senza pretendere.
La performance più ammaliante, in tal senso, è stata quella di “Iridaria”, dell’artista catanese Daniela Orlando: un cerchio magico di colori allestito nel cuore dell’uliveto, dove piccoli gruppi di visitatori venivano fatti accomodare in una pace amniotica, creando coi gesti e le voci una bolla d’accudimento e consolazione che restava a lungo dentro, come un sorso di luce.
C’erano anche le istituzioni, sindaci, amministratori e persino il neo assessore regionale ai Beni Culturali Mariarita Sgarlata («Tutta la Sicilia – ha detto – dev’essere grata a personalità come Antonio Presti, capaci di coniugare il linguaggio sperimentale dell’arte contemporanea con una riappropriazione “sacrale” del territorio in nome di una ricerca spirituale che parli a tutti») : è straordinario il modo in cui Presti, con la forza della sua utopia, è riucito a convertire la guerra iniziale in collaborazione. E ha qualcosa di magico sentire gli uomini della politica parlare di “bellezza” e di “anima”, pronunciando con cautela quelle parole così strane – come era avvenuto sabato sera, quando davanti all’Atelier sul Mare di Castel di Tusa, l’albergo-museo della Fondazione, si è tenuto un reading in cui gli scolari coinvolti per tutto l’anno nel progetto hanno letto le loro poesie sulla Costituzione, la più bella del mondo. Le stesse parole che, di lì a poco, avrebbe pronunciato il nuovo sindaco di Messina, Renato Accorinti, portando “bellezza”, “anima” e “condivisione” nel cuore delle istituzioni.
Perché la Bellezza è un duro lavoro, una semina costante molto faticosa, e il Rito della Luce è possibile perché c’è tutto un anno – mentre la luce compie il suo lento cammino di discesa e risalita – in cui la Fondazione lavora, nelle scuole e coi giovani, e dialoga incessantemente con gli artisti ma anche coi burocrati, perché non c’è sogno che possa realizzarsi senza un senso molto concreto delle cose.
E c’era soprattutto la gente, la gente comune che magari non sa nulla di arte contemporanea e di meditazione yoga, ma che in quello spettacolo continuo a cui tutti concorrevano ha trovato frammenti di bellezza, senza colore ideologico o dottrinario o religioso o politico: «Abbiamo bisogno di luce rigeneratrice, in qualunque modo» diceva semplicemente Presti, che per tutto il giorno era con gli artisti e con la gente, coi curiosi e con gli assessori, e ogni tanto, passando alla Piramide, sottolineava lo spettacolo in corso – che fosse musica o parola – percuotendo le pareti brunite, che risuonavano come la terra.
Al tramonto, la Piramide è stata chiusa, ancora odorosa di incensi e di cera delle candele, ancora vibrante di parole e di suoni. La Luce, quella l’abbiamo portata via con noi. Dentro.