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Gli ex parlamentari
Basilio e Ninì Germanà
condannati per
bancarotta fraudolenta

Si è chiuso con sei condanne e una sola assoluzione, il processo a carico dell’ex senatore Basilio Germanà accusato, insieme al altre sei persone, di bancarotta fraudolenta aggravata. La vicenda è legata al fallimento della Gedim costruzioni, impresa di Brolo, prima denominata “Venere”. Si tratta di una vicenda complessa ricostruita in un processo durato cinque anni e concluso con la lettura del dispositivo venerdì notte. Al centro del procedimento un giro di affari risalenti ai primi degli anni ‘90 e concluso con la dichiarazione di fallimento della Gedim avvenuta il 12 febbraio 1996. Il giudice delle udienze preliminari di Patti, nel 2008, aveva rinviato a giudizio Basilio Germanà, Il fratello Nino (ex deputato regionale e nazionale), Vincenzo Milio Caruso, Cono Di Luca Lutopitto, Francesco Molica, Rosaria Ricciardello, tutti di Brolo, e Vincenzino Spiccia di Piraino. Accusati di bancarotta fraudolenta con le aggravanti di avere cagionato un danno di rilevante gravità e di avere commesso il fatto col concorso di più di cinque persone. Secondo l’accusa i due Germanà, assieme a De Luca, erano gli amministratori di fatto della società dichiarata fallita, mentre sulla carta gli amministratori unici, prima della Venere e poi della Gedim, erano Molica, Caruso, Ricciardello e Spiccia. Tutti erano accusati di avere disposto le scritture contabili in modo tale da non rendere possibile la ricostruzione degli affari e del patrimonio della società o comunque in modo da renderla difficoltosa, sempre per procurarsi un ingiusto profitto o comunque per recare pregiudizio ai creditori. Il Tribunale di Patti, composto da Maria Pina Lazzara (presidente), Ugo Molina e Ines Rigoli, ha riconosciuto colpevoli i due Germanà e Di Luca, condannando i due fratelli a tre anni e otto mesi ciascuno e Di Luca a quattro anni e otto mesi. I Germanà sono stati ritenuti concorrenti esterni nei reati di bancarotta e non amministratori di fatto. Tra le pene accessorie inflitte ai tre imputati anche l’interdizione per cinque anni dai pubblici uffici, l’inabilitazione all’esercizio di imprese commerciali e l’incapacità a esercitare uffici direttivi presso qualsiasi impresa per dieci anni. E’ andata meglio invece agli amministratori unici Caruso, Molica e Spiccia, riconosciuti colpevoli di un solo capo d’imputazione e condannati a due anni di reclusione ciascuno e beneficio della sospensione condizionale della pena. Assolta per non avere commesso il fatto, Rosaria Ricciardello che fu amministratore unico della Gedim per un periodo limitato di soli tre mesi nel 1995. Ha tenuto, quindi, nel complesso, il quadro accusatorio ipotizzato dalla Procura di Patti e sostenuta dal pm Alessandro Lia. I Germanà e Di Luca, sono stati riconosciuti colpevoli dei reati contestati anche in altri due capi d’imputazione in cui venivano accusati sempre di bancarotta fraudolenta per la realizzazione di interessi di terze imprese da essi gestiti e possedute. In questo caso, secondo l’accusa, distraevano, occultavano, dissimulavano, dissipavano in tutto o in parte i beni societari, o riconoscevano passività inesistenti, tutto a discapito della Gedim. I tre, infine, sono stati riconosciuti colpevoli di avere distratto ingenti somme di denaro in favore di soggetti estranei all’attività commerciale dell’azienda, mediante il versamento con assegni propri o di terzi di comodo, causando così un danno patrimoniale di rilevante entità sempre allo scopo di recare pregiudizio ai creditori o di ricavarne un ingiusto profitto. Il Tribunale ha riconosciuto anche il risarcimento dei danni alla curatela fallimentare che si è costituita parte civile con l’avvocato Francesco Cacciola. L’ammontare dei danni dovrà essere quantificato in separata sede. Nel collegio di difesa erano impegnati gli avvocati Carmelo Occhiuto, Domenico Magistro, Giuseppe Di Peri, Elio Aquino, Giuseppe Condipodero e Sabrina Ligato. Questo il commento di Basilio Germanà: «Pur rispettando la sentenza, giacché anche i giudici possono essere stati tratti in inganno da tante carte proicessuali, non posso che rimanere esterrefatto per la decisione del Tribunale. Devo rilevare come l’inchiesta gestita dal pm Sangermano e al maresciallo i Carlo, personaggi già noti per avermi avversato, abbia paradossalmente consentito, per le lungaggini processuali, che un parlamentare potesse svolgere il suo ruolo e che la condanna intervenisse solo adesso che è divenuto un pensionato. Sono sicuro che in appello la sentenza sarà annullata»

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