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Un colpo di Stato affonda
la Primavera araba


di Piero Orteca

Egitto: adesso il colpo di Stato è ufficiale. L’esercito, su “m a ndato” o, comunque, con il beneplacito americano, ha preso in pugno la situazione, asfaltando, di fatto, la cosiddetta “Primavera araba”. Il presidente egiziano Mohammed Morsi è stato posto agli arresti domiciliari dai suoi generali e rinchiuso nella sede della Guardia repubblicana al Cairo. Il potere passa a un Consiglio provvisorio composto dal Grand Mufti della Al-Azhar University, dal capo della Chiesa copta e dal chief-justice della Corte costituzionale Mansour, che dovrebbe essere presidente ad interim. Il primo annuncio è stato dato con un flash in sovrimpressione dalla tv indipendente el Hayat. È bene chiarire subito una cosa. I militari non hanno preso le parti dei rivoltosi di Piazza Tahrir, ma hanno voluto solo evitare (almeno questo dicono loro, ma in parte hanno ragione) lo scatenarsi di una vera e propria guerra civile. Dato che i seguaci di Morsi si contano a milioni. Notizie di fonte israeliana parlano di carri armati in movimento lungo il ponte “Sei ottobre”, nel cuore del Cairo. Morsi e gli altri esponenti della “F r a t e llanza” rischiano il processo immediato “per i crimini commessi nell’anno passato al potere”, aggiungono da Gerusalemme. I generali hanno preso possesso dei locali della Tv di Stato e ne controllano i programmi. Il premier, Hisham Kandil e il resto del governo hanno abbandonato le sedi istituzionali, mentre sembra che i militari si apprestino a installare al vertice il “P r o v i s i onal council”, il Consiglio provvisorio che prepari le elezioni e proponga una nuova costituzione. Il Ministro della Difesa, generale Abdel Fattah El Sisi, ha riunito i leader politici del Paese; alla riunione non hanno partecipato gli esponenti dei Fratelli Musulmani. Martedì notte Morsi aveva respinto la richiesta dei militari di dimettersi “per evitare un bagno di sangue”. Il nuovo uomo forte egiziano, El Sisi, ha agito dopo essersi consultato con gli americani e dopo che il Ministro degli Interni, generale Muhammad Ibrahim, ha messo sotto il comando dell’E s e rcito la polizia, le forze di sicurezza e servizi segreti. Il presidente egiziano, che era stato regolarmente eletto (è bene ricordarlo a tutti quelli di memoria corta, che si ritagliano i principi democratici a proprio uso e consumo) sarebbe oggetto di un divieto di espatrio. Nella stessa lista di “p r o s c r izione”, riferiscono fonti della Sicurezza all'aeroporto del Cairo, assieme alla guida spirituale della Fratellanza Mussulmana, Mohamed Badie, ci sarebbe lo stato maggiore del partito dei fondamentalisti in doppio petto, da Khairat el Shater a Essam Sultan, fino a Mohamde el Beltagui. La drammatica piega presa dagli avvenimenti, rappresenta una clamorosa bocciatura della politica estera di Obama in Medio Oriente. Gli Stati Uniti, dopo essersi “venduti” Mubarak, avevano puntato tutti i loro gettoni su Morsi, scordandosi le sue origini. Sarebbe bastato leggersi quattro appunti su “W i k i p edia” per capire chi fosse e dove andasse a parare il presidente proposto da “Fratelli”. Il colpo di Stato in Egitto, Paese che non è certo un boccone facile come la Libia, dimostra anche, per l’ennesima volta, l’i n c a p acità dell’Europa a farsi valere in un’area di sua stretta competenza strategica. Gli unici che hanno cercato di darsi una mossa, gli ex colonialisti franco- inglesi, sono solo riusciti a combinare macelli che ora rischiano di ripercuotersi su tutto il resto della Mezzaluna, dalle coste dell’Atlantico fino al Golfo Persico. E di coinvolgere, amaramente, aggiungiamo noi, i traballanti equilibri faticosamente raggiunti nel Mediterraneo. Con l’Italia in prima fila. Un primo segnale negativo per la nostra economia riguarderà il costo dell’energia. Martedì il prezzo del petrolio ha superato i 100 dollari al barile (non accadeva dallo scorso settembre), spinto al rialzo da timori riguardanti la “transitabilità” del Canale di Suez. Dall’inizio delle proteste ci sono stati una quarantina di morti, di cui 16 solo martedì notte, all’Università del Cairo. Ora bisognerà vedere come reagiranno i sostenitori, milioni e milioni, dei Fratelli Musulmani, che a giugno del 2012 vinsero le elezioni presidenziali (con l’aiuto degli Usa) rispettando le regole del gioco democratico. Potrebbe anche crearsi un terrificante scenario di tipo algerino, quando, all’inizio degli Anni Novanta, i fondamentalisti islamici vinsero regolarmente le elezioni e furono poi messi fuori legge da un colpo di stato militare, ispirato da Washington. Risultato: guerra civile e 250 mila morti. I “Tamarod”, i “Ribelli” che riuniscono un’opposizione variopinta in Egitto (non solo laica) hanno, comunque, le loro ragioni. Morsi stava islamizzando il Paese in modo sempre più accelerato e, soprattutto, sembrava più preoccupato di risolvere i problemi dottrinari, trascurando l’economia. Dalla sua elezione i problemi si sono moltiplicati, la disoccupazione è esplosa e i dollari dello Zio Sam non sono più bastati a mettere pezze ai buchi di un sistema sociale allo sbando. Sempre secondo fonti israeliane, Barack Obama e il Capo di Stato maggiore Usa, generale Martin Dempsey, martedì sarebbero intervenuti per cercare di togliere dai guai il loro amico Morsi. Ma, vista la mala parata e, dopo lunga riflessione (si fa per dire), hanno deciso di gettarlo ai pescecani. Benedicendo il colpo di Stato. Certo, non è finita qui. I Fratelli Musulmani, sunniti di quelli tosti (e non certo “moderati”), alle elezioni presidenziali hanno preso oltre 13 milioni di voti. Insomma, qualcosa contano. E prima o dopo si faranno risentire. Fragorosamente.

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