L’Egitto è ormai sull’orlo del baratro. Ieri l’esercito ha di nuovo sparato sui Fratelli Musulmani che dimostravano (o cercavano di dare l’assalto) alla caserma della Guardia Repubblicana, nel centro del Cairo, dove si trova agli arresti l’ex presidente Morsi, deposto da un colpo di Stato. Il bilancio è rabbrividente: oltre 50 morti (ma la Fratellanza parla addirittura di 70 vittime) e circa 450 feriti. Dall’a ltro lato è rimasto ucciso anche un ufficiale, mentre sette soldati sono stati feriti. I militari dicono di avere reagito per fermare “terroristi armati” che cercavano di scavalcare il muro di recinzione della caserma. Ma, secondo testimoni oculari, l’esercito ha cominciato a caricare i militanti musulmani che stavano manifestando con un pacifico sit-in. Come conseguenza, il Partito Salafita (islamista ma, finora anti-Morsi) si è tirato fuori dai colloqui di governo, mentre i Fratelli Musulmani hanno praticamente dichiarato una sorta di “guerra santa”. Intanto, fonti israeliane di primo piano, riferiscono di movimenti militari egiziani lungo il Canale di Suez, tesi a mettere “in sicurezza” la via di navigazione e i terminali petroliferi dell’oleodotto di Sumed. Sempre resoconti in arrivo da Gerusalemme, assicurano che “commandos” di estremisti vicini alla Fratellanza (un gruppo denominato “El Giza Al Sidi”), assieme a gruppi di beduini Salafiti sponsorizzati da al Qaida e da Hamas, sarebbero pronti a mettere il Sinai a ferro e fuoco utilizzando missili destinati a colpire le navi in transito. Gli esperti israeliani spiegano che se i fondamentalisti dovessero riuscire nell’intento di incendiare qualche petroliera o di far esplodere le condotte degli oleodotti, i prezzi del petrolio e quelli delle assicurazioni, testuale, «salirebbero alle stelle». E così anche noi ci accorgeremo di quanto la politica estera domini, ormai, la nostra quotidianità. Comunque, sempre autore- voli fonti di Gerusalemme, confermano che i fondamentalisti islamici hanno già colpito, domenica scorsa, l’oleodotto che da El Arish porta alla frontiera con la Giordania. Sarebbero stati usati ben 10 bombe a tempo che hanno “tagliato” il transito di greggio. L’Ufficio per l’A n t i t e r r o r ismo israeliano ha poi messo in guardia i suoi compatrioti, invitandoli a non recarsi nel Sinai, «per cercare di evitare possibili attacchi terroristici». Contemporaneamente gli 007 di Gerusalemme hanno avvertito i colleghi egiziani di alzare la guardia, tenendo d’occhio proprio il “Sumed oil pipeline”, oleodotto che parte da Ain Sukhna sul Golfo di Suez e, dopo trecentoventi chilometri di deserto, giunge a Sidi Kerir, vicino ad Alessandria. Questa infrastruttura energetica sarebbe nel mirino dei terroristi considerati “vicini” alla Fratellanza per diversi motivi, non solo strategici. E qui gli israeliani dimostrano di essere informatissimi: dietro la rivolta contro il presidente Morsi e il successivo colpo di Stato ci sarebbero, infatti, un complotto e un fiume di dollari arrivati dall’Arabia Saudita e dagli altri Emirati del Golfo Persico. Per la serie “l’Islam questo sconosciuto”. Lo Stato maggiore dei Fratelli Musulmani lo sa e starebbe cercando di mettere nel mirino proprio il greggio della saudita “Aramco” e dell’I n t e rnational Petroleum Investment Co. di Abu Dhabi. L’altro protagonista del “piattino” preparato per liberarsi di Morsi scatenando la piazza sarebbe Ahmad Shafiq, il candidato sconfitto al ballottaggio proprio dal presidente che è stato ora liquidato dai militari. Ma la notizia più clamorosa, che fa intravedere scenari da film di Hitchcock, è che Shafiq (primo ministro per un mese) è legato mani e piedi a Mubarak. Insomma, gli americani hanno partecipato al complotto, lo hanno subito o, altra opzione rabbrividente, semplicemente non ne sapevano niente? Molti analisti sostengono «che sono stati presi di sorpresa». Sono, comunque, assai le cose che la stampa internazionale non racconta. Come i continui scontri, tra esercito egiziano e fondamentalisti (pesantemente armati, con missili “Grad”), in corso in diverse aree del Sinai, non lontano, addirittura da Eilat e dalla frontiera con Israele, che, per precauzione, ha chiuso la “Route 12”, la strada che dal Mar Rosso porta verso Nord.
Ormai l’Egitto è
sull’orlo del baratro
di Piero Orteca
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