Lunedì 23 Dicembre 2024

I ribelli siriani?
Per gli inglesi
sono un rischio

Adesso anche gli “apostoli della democrazia” (quella da esportare “a tutti i costi”, purché, beninteso, il conto lo paghino gli altri) forse cominceranno ad avere qualche pulce nell’orecchio. Sì, sembra proprio così, dato che i seriosi (ed efficienti) servizi segreti di Sua Maestà britannica hanno tirato fuori dagli scantinati un rapporto- shock sul terrorismo internazionale, che ha fatto saltare dalle sedie, all’ora del tè, gli onorevolissimi componenti del Parlamento di Westminster. Non sappiamo a quanti, “Lord and Commons”, la nobile bevanda sia andata di traverso, ma devono essere parecchi. La funesta novella è stata portata in aula nientemeno che dall’autorevole “ISC” (Parliamentary intelligence and security committee). Dunque, i deputati hanno appreso con costernazione che la minaccia più “i mpressive” alla sicurezza dell’Occidente arriva dalla Siria. Ma, tenetevi forte, non da Assad, Hezbollah e ayatollah assortiti, bensì dai “r i b e lli”. Sì, avete capito bene, proprio da coloro che i babbioni francesi, i brachettoni americani e i polpettoni inglesi (questi ultimi almeno fino a ieri) vanno armando fino ai denti. E siccome le chiacchiere stanno a zero e non vogliamo confondere le idee a nessuno, andiamo a leggere il “r eferto” che deputati e Lord inglesi hanno dovuto ingoiare, con le mani nei capelli. Dunque, secondo il documento, membri di al Qaida e “singoli jihadisti”, sfruttando le opportunità offerte dalla guerra civile, potrebbero impossessarsi di armi (terrificanti) da utilizzare non tanto e non solo per fare la festa ad Assad, quanto piuttosto per colpire le città occidentali (e inglesi in particolare, perché a Londra, chiamali fessi, si preoccupano soprattutto del cortile di casa). Richard Norton-Taylor, sul “Guardian”, parla chiaramente di «conseguenze catastrofiche » se i fondamentalisti che combattono, a migliaia, con i rivoltosi, dovessero mettere le mani sulle armi chimiche o batteriologiche in libera uscita dagli arsenali governativi. Le “barbefinte” inglesi fanno venire i sudori freddi alla schiena, dato che si riferiscono ai gas nervini in generale, e al “sarin” in particolare. E siccome le cattive notizie viaggiano sempre in compagnia, proprio mercoledì scorso (guarda tu!) i russi hanno rivelato di avere le prove che i rivoltosi hanno già usato i “nervini” nei sobborghi di Aleppo. D’altro canto, qualche settimana fa, lo stesso premier britannico, David Cameron, aveva espresso la sua preoccupazione per la piega che stavano prendendo gli avvenimenti. Puntando l’indice proprio contro l’a r c ipelago dei ribelli sunniti, dove, accanto ai combattenti per la libertà, prosperano fondamentalisti, tagliagole e scanna-pecore in arrivo da tutti i cantoni dove al Qaida cresce, prospera e fa nuovi proseliti. Europa compresa. Questi elementi poco raccomandabili sarebbero «numerosissimi e in aumento». Solo dal Regno Unito ne sarebbero partiti più di cento. Gli inglesi sono in allarme anche per un altro fatto. La guerra siriana agisce non solo come una fonte di “a r m amento”, ma anche come scuola di indottrinamento, capace di trasformare i volontari partiti dall’Europa, al loro ritorno, in altrettante bombe umane. Secondo il capo degli 007 di Sua Maestà, Sir John Sawers, se il regime di Assad dovesse cadere, gli jihadisti si fionderebbero sui depositi governativi, per impossessarsi di tutto e di più. Tra gli altri graziosi omaggi, frutto della disfatta alawita, ci sarebbero, oltre al “sarin”, anche iprite (gas mostarda), ricina, e il “VX”, definito come il più micidiale “nervino” mai fabbricato. Sai che record! Insomma, i Servizi segreti hanno messo in guardia i politici con un “report” che sembra un ultimatum: attenti a come vi muovete, perché il rischio che al Qaida si impossessi di armi di distruzione di massa è significativo. E il risultato «sarebbe una catastrofe ». Viene soprattutto puntualizzato un cambio di strategia del fondamentalismo terrorista. Ormai, al Qaida, anziché organizzare attentati faraonici, in grande stile, punta sui “lupi solitari”, elementi molto difficili da individuare, che se in possesso del candelotto giusto potrebbero fare danni stratosferici. Intanto, mentre l’a t t e n z i one dell’opinione pubblica internazionale era tutta concentrata sulla crisi egiziana, gli israeliani hanno colpito duro, di nuovo, in Siria. Aerei con la Stella di David hanno bombardato i depositi di missili che Bashar al-Assad ha concentrato nei pressi del porto di Latakia. A rivelarlo (con malcelata preoccupazione) sono state, proprio ieri, fonti di Washington, chiarendo che nel mirino dei caccia- bombadieri c’erano tre depositi: il primo zeppo di armi russe trasferite negli ultimi due mesi per sostenere l’offensiva lealista contro Aleppo, il secondo contenente i micidiali missili “a n t in ave” Yakhont (SS-N-26, in codice Nato) e il terzo stipato di munizioni. Nell’incontro tenutosi a maggio tra Netanyahu e Putin, il premier israeliano aveva lanciato il suo “avviso ai naviganti”, spiegando che non sarebbero stati tollerati trasferimenti di armi pesanti agli Hezbollah (alleati di Assad), come poi, in effetti, è avvenuto. I russi, per nulla impressionati, hanno risposto in modo poco incoraggiante: qualsiasi intervento di Gerusalemme sarà adeguatamente controbattuto. Insomma, gli israeliani troveranno pane (e companatico) per i loro denti. Parola di Vladimir Vladimirovic Putin. Chi gli crede e pensa che non stia bluffando è Obama, che ha chiamato di gran corsa il re dell’Arabia Saudita, Abdullah, per discutere il da farsi. Tutti e due hanno ben presenti non solo le minacce del Cremlino, ma anche quelle degli iraniani e degli sciiti libanesi, pronti ad accendere la miccia sul Golan. Gli israeliani dormono con un occhio aperto, su quel fronte, e lo hanno dimostrato spostando rapidamente nuove truppe all’ombra del Monte Hermon. Non solo. Ma “rumors” sempre più diffusi parlano di un possibile coivolgimento dei Servizi di Gerusalemme nell’attentato che qualche giorno fa ha preso di mira la sede di Hezbollah a Bir al-Abd, quartiere a sud di Beirut. La bomba, che ha fatto 53 feriti, ha danneggiato anche una moschea sciita e una scuola. L’edificio colpito, tanto per capirci, è ritenuto il comando operativo di Hezbollah per l’intervento in Siria. Gli israeliani sono probabilmente quelli che conoscono meglio di tutti l’evolversi della situazione sul campo. I lealisti di Assad e gli alleati libanesi (assistiti dai consiglieri spediti da Teheran) hanno ormai chiuso la “sacca” di Homs e si accingono a liquidare le ultime resistenze dei rivoltosi ad Aleppo. Rispediti al mittente, seccamente, gli appelli dell’Onu e del capo dell’opposizione armata, Ahmad Jabra, per una tregua “di rispetto” per il periodo del Ramadan. Il presidente siriano vede la vittoria a portata di mano e non vuole concedere nemmeno un secondo di respiro ai suoi mortali avversari. Il problema vero è che le ripercussioni del conflitto ormai dilagano a macchia d’olio in tutta la regione. Il Libano, per esempio, oltre a diventare una specie di campo di battaglia parallelo, è stato invaso da oltre un milione di rifugiati, che stanno creando una seria emergenza umanitaria. L’ambasciatore di Beirut al Palazzo di Vetro, Nawaf Salam, ha chiesto aiuti immediati ai maggiorenti dello stipendificio di New York. Aspetta e spera. Come in Giordania. Ma là, almeno, ci pensa lo Zio Sam, che oltre ai marines ha già spedito i dollari. A palate.  

leggi l'articolo completo