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Medio Oriente, ora la
Cia “aiuta” Hezbollah


di Piero Orteca

Medio Oriente: ormai è la guerra di tutti contro tutti. La peggiore. Perché non sai mai chi è il tuo nemico. Figurarsi se puoi andare a fidarti degli “amici”, abilissimi ballerini di valzer, che con una improvvisa piroetta cambiano partner e ti spuntano alle spalle. Coltello in mano. In questo momento si profila uno scontro titanico tra sunniti e sciiti, con l’Occidente in mezzo, schiacciato come una sottiletta, a fare la parte del vaso di coccio tra quelli di ferro. L’ultima notizia è di quelle grosse, da lasciare a bocca aperta. Dunque, le barbefinte Usa della Cia hanno saltato il fosso, correndo in aiuto, nientemeno, che degli odiati miliziani di Hezbollah, avvisandoli degli attentati che i sunniti (legati ai rivoltosi siriani e ad al Qaida) stavano preparando in Libano. Rovesciamento delle alleanze? Confusione mentale? Fate voi. Anche se, forse, la verità è molto più semplice. E scottante. I danni fatti dalle Cancellerie occidentali, con gli ex colonialisti anglo-francesi in prima fila, a giocarsi il primato dell’imbecillità diplomatica, assieme ai babbioni americani (ma Obama ha resistito fino a quando ha potuto), ora vengono a galla e si cerca solo di metterci una pezza. E anche i gonzi dalla testa più dura, quelli a cui devi spiegare le cose accompagnando le parole con un disegnino, si stanno rendendo conto che la democrazia non si “esporta e impianta” manco si trattasse di uno stock di lavandini. O di altra “ceramica”. E qui ci fermiamo. La “Primavera araba”, maneggiata, a modo loro, dai servizi segreti di cui sopra, ha solo cominciato a causare montagne di rogne, di cui non si vedono le vette, nascoste da nuvoloni neri come la pece. Persino “the Bible”, la “Bibbia”, come viene definito con somma e a volte immeritata deferenza l’Economist, la prestigiosa rivista inglese, ha deciso di dire basta, sparando in copertina un albero rinsecchito (metafora della “Primavera araba”) davanti al quale siede, solitario, un guerrigliero con tanto di Kalashnikov, pronto all’uso. Talleyrand diceva che la bravura di un ambasciatore e dei politici che gli stanno dietro è inversamente proporzionale ai morti (e ai guasti) provocati dalla loro strategia. Beh, secondo questo metro, in tanti dovrebbero lasciar perdere le relazioni internazionali e dedicarsi a una più remunerativa e meno dannosa coltivazione intensiva e diretta. Nel settore dell’orto- frutta. Ma siccome le chiacchiere stanno a zero e i fatti invece “cantano”, andiamo a vedere la situazione sul campo, cercando di non farci mancare proprio niente, a cominciare dalle stupefacenti piroette e dai tuffi carpiati degli “attori”, che cambiano bandiera al primo stormir di fronde. Oggi vanno segnalati sanguinosi attentati in Bahrain e in Egitto, nella zona del delta nilota, dove ci sono stati altri tre morti, dopo i dieci di giovedì notte nel Sinai, per la maggior parte jihadisti. Le vittime, vicino El Arish, sono quattro donne la cui casa è stata distrutta da un razzo lanciato da ribelli salafiti, durante scontri tra “pro”e“anti” Morsi, il presidente deposto dal colpo di Stato militare, che Obama ha dovuto ingoiare come se fosse un gigantesco rospo. E che continua a fargli venire i sudori freddi, dato che il nuovo uomo forte del regime cairota, il generale El-Sisi, gli ha mandato a dire di smetterla di spezzare lance per salvare i suoi ex amici (i Fratelli Musulmani). Soprattutto, messaggio sibilato di sguincio e indossando una coppola storta, El-Sisi ha messo in chiaro una cosa: la Casa Bianca si scordi di minacciare tagli ai fondi destinati all’esercito egiziano. Questi ricatti gli fanno un baffo, anche perché c’è già chi pensa a fare arrivare nelle casse dei nuovi faraoni carriolate di dollari. For the record, a Tel Aviv hanno scoperto che, in un solo giorno, Arabia Saudita ed Emirati Uniti hanno versato negli esausti forzieri del governo egiziano ben 8 miliardi di dollari. Liquidi, solidi o aeriformi (crediti, obbligazioni e altri strumenti finanziari) i denari serviranno a garantire la “transizione” dopo il colpo di Stato. Cioè, tradotto dal politichese, a non far saltare il ticchio alle masse, le quali, più che essere affascinate dal verbo della democrazia, sono imbufalite per la fame. Tutto gratis e frutto della solidarietà sunnita di stampo moderato? Calma e gesso. Gli esperti sono convinti che la bomba a orologeria, preparata a Riad e negli Emirati, ma scoppiata in mano a Obama, abbia motivazioni complesse. Il principale nemico dei sauditi e degli Emirati del Golfo è l’Iran sciita. E Morsi, il presidente egiziano defenestrato, pur essendo un Fratello Musulmano sunnita, si è tenuto le mani libere, giocando su più tavoli e facendo la corte anche ai “nemici degli amici”. Insomma, i sauditi non si fidavano dello spregiudicato “Fratello”, che trescava anche con gli ayatollah, con Hamas, e, soprattutto, con gli sceicchi stramiliardari del Qatar, troppo “individualisti” e poco amati in tutto il Golfo. Morale della favola: gli hanno preparato il “piattino”, senza avvisare gli americani. Che hanno continuato a difendere una causa persa, arte in cui sono maestri. Quando Obama si è accorto (meglio tardi che mai) che a Morsi, presidente democraticamente eletto, avevano fatto le scarpe gli stessi “confratelli” sunniti, ha abbozzato e, con un ulteriore giro di valzer, si è iscritto anche lui al gran ballo dei debuttanti, unendosi al complotto. Ma passando, sia chiaro, dalla porta di servizio. Obama, sembra un paradosso, paga il prezzo di avere uno sterminato esercito di “consiglieri”, che coagulano le loro idee in scuole di pensiero diverse. A volte, diametralmente opposte. Risultato: prendere decisioni capitali, in politica estera, diventa come la pesca con la paperella. Chiudi gli occhi e scegli un’opzione. Sperando che sia quella giusta, tra le decine che ingombrano la tua scrivania. C’è poco da meravigliarsi e niente da ridere, pensando alle modalità del “decision making process” della politica estera Usa, che influenza i destini del pianeta. Il presidente Usa è solo un “primus inter pares”, assediato dai dossier che gli piovono sulla capa a tonnellate e che vengono prodotti, a getto continuo, dalle agenzie governative, dalle commissioni, dai “sub-committees”, dai think-tank (che sono pensatoi assortiti) e dal “sancta sanctorum”: il Consiglio per la Sicurezza Nazionale. Ma torniamo al minestrone delle alleanze che non ti aspetti e ai rapporti con i fondamentalisti di Hezbollah. In dettaglio, secondo gli analisti di “McClatchy”, la Cia avrebbe “avvisato” gli sciiti, capitanati dallo sceicco Nasrallah, del fatto che i sunniti preparavano una campagna di bombe a go-go contro di loro. Sia in Siria (dove combattono a fianco di Assad) e sia in Libano, Paese precipitato in una pre-guerra civile dopo che i miliziani di Hezbollah si sono schierati con i lealisti di Damasco. Gli americani sono scesi in campo rispettando una scala (logica) delle priorità, che, in questa fase, vede il nemico pubblico numero uno negli estremisti sunniti legati ad al Qaida. Le informazioni per i miliziani sciiti sarebbero state offerte indirettamente, tramite alti ufficiali dell’esercito di Beirut, che le avrebbero poi girate a Hezbollah. Fonti (libanesi) ribadiscono che la “soffiata” è stata offerta dagli agenti della Cia a condizione che fosse fatta pervenire, di gran corsa, proprio a Hezbollah, per la serie «i nemici dei miei nemici possono diventare miei nuovi amici». Sì, ma fino a quando?  

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