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I siriani sanno
già dove cadranno
i missili Usa


di Piero Orteca

Cominciamo dalla notizia che tutti si aspettano: quando scatterà l’attacco contro la Siria per i “nervini” lanciati dalla 155ma Brigata del presidente Assad alla periferia di Damasco? Le nostre fonti indicano una data. L’ora “X” potrebbe scoccare tra le 2 e le 4 di domani notte e il “blitz” dovrebbe essere condotto principalmente attraverso missili da crociera “Tomahawk”, in partenza dalle navi da guerra che stazionano nella regione. Usiamo (ci mancherebbe altro) il condizionale, perché qualche altra fonte riferisce che sarebbero state scelte date diverse per “punire” Assad. Forse per aspettare i tardigradi dell’Onu, che stanno ancora “indagando” per arrivare a una verità che conoscono pure al bar dell’angolo. Ma l’imbeccata più clamorosa non riguarda tanto l’inizio dell’attacco, che ormai tutti danno per scontato, quanto, piuttosto (e ti pareva!) i retroscena. Dunque, tenetevi forte, il “blitz” pensato dagli americani (di inglesi e francesi non parliamo, perché, patetici, fanno la parte della tappezzeria) sarebbe una mezza “pulcinellata”, nel senso che verrebbe studiato per fare meno danni “militari” possibili ai siriani. Ci capite qualcosa? No? Allora ve lo spieghiamo noi. Si dice (soprattutto in Israele) che gli americani abbiano già “avvisato” i russi degli obiettivi che saranno colpiti dai loro missili ed, eventualmente, dalle loro bombe. Al Cremlino, ricevuta la lista della spesa, non se lo sarebbero fatti ripetere due volte: dopo dieci minuti l’elenco dei siti da annichilire era già sul tavolo di Assad. Insomma, per farla breve, i siriani stanno già mettendo al sicuro tutto il possibile. In modo da non perdere manco una bicicletta. In particolare, ribadiscono fonti “bene informate” di Gerusalemme, sono già stati opportunamente tolti dalla circolazione carri armati, artiglieria e missili appartenenti alle unità della Guardia Repubblicana e alla 4. Divisione corazzata (di cui fa parte la 155ma Brigata di cui sopra). Sparpagliati anche i centri-comando di Homs, Hama e Latakia, tutti probabili bersagli dei “cruise”. Anche gli aerei da caccia e gli elicotteri da combattimento di Assad sarebbero già stati messi al sicuro in rifugi blindati. Quando l’operazione-salvataggio sarà finita, i siriani faranno un fischio e gli americani potranno cominciare a bombardare. Se non ci fosse da piangere ci sarebbe da ridere. Come mai, direte voi, cotanta pantomima? Semplice, Obama e la squadra “vincente” dei suoi consiglieri ci hanno ripensato: non vogliono più sbarazzarsi di Assad per dire “prego, accomodatevi” alle milizie ribelli strapiene di fondamentalisti e di tagliagole iscritti nel libro-paga di al Qaida. George Friedman, prestigioso analista di “Stratfor”, un “think-tank” fra i più quotati, non ha dubbi. Dentro l’Amministrazione democratica il vento è girato. E infatti Obama, un colpo al cerchio e uno alla botte, “riflette” e si è fatto estremamente cauto. Ha le terga ancora ustionate dall’avventura libica e dalla “Primavera” egiziana e prima di farsi trascinare, con tutte le scarpe, in un altro covo mediorientale di serpenti, ci penserà sedici volte. Per ora si accontenta di tenere a bagnomaria Assad e gli inferociti ayatollah iraniani. E di mostrare i muscoli. Non può perdere la faccia di fronte alla comunità internazionale, dopo aver promesso “risposte adeguate” contro chiunque avesse osato utilizzare armi chimiche. Ma, dopo la rappresanglia d’ordinanza, tra l’altro quasi concordata a tavolino con i “nemici”, vedrete che la Casa Bianca deporrà l’ascia di guerra per trovare una soluzione diplomatica alla crisi. Troppo forte il rischio di una “sindrome afghana”, quando gli Usa, per combattere i russi, armarono fino ai denti Osama bin Laden, per poi ritrovarselo contro, con gli interessi. Un gravissimo errore strategico, pagato con la catastrofe delle Torri Gemelle. Anche Obama conosce benissimo quello che hanno rivelato qualche tempo fa i seriosi (ed efficienti) servizi segreti di Sua Maestà britannica: hanno tirato fuori dagli scantinati un rapporto-shock che ha fatto saltare dalle sedie, all’ora del tè, gli onorevolissimi componenti del Parlamento di Westminster. Non sappiamo a quanti, “Lord and Commons”, la nobile bevanda sia andata di traverso, ma devono essere stati parecchi. La funesta novella è stata portata in aula nientemeno che dall’autorevole “ISC” (Parliamentary intelligence and security committee). Dunque, i deputati hanno appreso con costernazione che la minaccia più “impressive” alla sicurezza dell’Occidente arriva dalla Siria. Ma, a sorpresa, non da Assad, Hezbollah e ayatollah assortiti, ma dai “ribelli”. Sì, avete capito bene. Secondo il documento, membri di al Qaida e “singoli jihadisti”, sfruttando le opportunità offerte dalla guerra civile, potrebbero impossessarsi di armi (terrificanti) da utilizzare non tanto e non solo per fare la festa ad Assad, quanto piuttosto per colpire le città occidentali. E siccome le cattive notizie viaggiano sempre in compagnia, i russi hanno rivelato di avere le prove che i rivoltosi hanno già usato i “nervini” nei sobborghi di Aleppo. Per il capo degli 007 di Sua Maestà, Sir John Sawers, se il regime di Assad dovesse cadere, gli scannapecore di al Qaida si fionderebbero sui depositi governativi, per impossessarsi di tutto e di più. Tra gli altri graziosi omaggi, frutto della disfatta alawita, ci sarebbero, oltre al “sarin”, anche iprite (gas mostarda), ricina, e il “VX”, definito “il più micidiale nervino mai fabbricato”. Tutto questo spiega la presa di posizione del viceministro siriano degli Esteri, Faisal Maqdaq. Che non ha minacciato l’Europa, ma, a modo suo, le ha aperto gli occhi. E spiega anche perché Obama, di fatto, abbia avvertito Assad in anticipo di dove cadranno i missili. Per scansarsi. Insomma, il presidente americano avanza, un millimetro alla volta, nel campo minato di una crisi che va affrontata, checché ne possano pensare i gallinacci francesi e gli spelacchiati leoni britannici (alla nevrotica ricerca di un po’ di gloria di seconda mano) con un’abbondante scorta di benzodiazepine.

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