Si sono squagliati tutti e Obama è rimasto col cerino in mano. Così ha fatto una bella pensata pure lui: consulterà il Congresso e l’intervento contro la Siria, se ci sarà, avverrà “più avanti”. Insomma, abbiamo scherzato, o quasi. Parlando ieri alla tv, il presidente ha praticamente “congelato” il “blitz”, dato per sicuro fino alla sera di venerdì scorso. Un attacco che avrebbe, comunque, dovuto essere “limitato nel tempo e circoscritto”. Ma non è questo il punto. Fosse per lui, farebbe volentieri a meno dell’intervento, però, dopo tutte le ritorsioni promesse come una litania negli ultimi mesi, non può perdere definitivamente la faccia, così si arrampica sugli specchi. Il clamoroso dietrofront del Parlamento inglese (un vero schiaffo) ha, praticamente, fatto saltare il. banco e l’inquilino della Casa Bianca ha dovuto cambiare in corsa i piani elaborati dal Pentagono (e… concordati con il Cremlino), cercando disperatamente qualche “coperchio” diplomatico. Ne aveva trovato uno insperato, “di serie B”, nel novello “Capitan Fracassa” che alloggia all’Eliseo, François Hollande. Al deludente e scolorito presidente della Francia, non era parso vero di guadagnarsi un quarto d’ora di gloria al posto di Cameron, dopo che il premier britannico era stato rovinosamente scaracollato dal seggiolone di Westminster. Attenzione: Hollande non ha uno straccio di popolarità (sondaggi vicini allo zero assoluto), non ha l’appeal di Sarkozy, non ha la squadra di economisti dell’ex presidente (e, infatti le cose per i transalpini girano maluccio) ma, in compenso, sembra averne ereditato in pieno tutta l’arroganza. Evidentemente, da quelle parti li fanno con lo stampo. Ora tutto torna in ballo e ogni soluzione sembra possibile. Intendiamoci, a scanso di equivoci: i “nervini” li ha veramente sparati Assad, lo abbiamo già scritto in tutte le salse e con grande dovizia di particolari. L’attacco condotto dai governativi, in cui è stato usato gas “sarin”, ha provocato oltre 1.400 morti e migliaia di feriti. A scatenare l’inferno è stata la 155ma Brigata, appartenente alla Quarta Divisione, comandata dal generale Maher Assad, fratello più giovane del presidente siriano. In sostanza, si è trattato di un cannoneggiamento, con granate riempite del micidiale composto chimico sparate dalla base militare del Monte Kalmun, a sud della capitale. Si tratterebbe – attenzione, perchè qui sta tutto il bandolo della matassa – di una “risposta” ritagliata su misura per Barack Obama, il quale sta addestrando forze ribelli in Giordania per intervenire (come abbiamo già anticipato un mese fa) da sud. I primi 250 uomini, spediti dagli americani, sono entrati in Siria sabato 17 agosto. Altri 300 hanno invece varcato la frontiera lunedì 19 e prendono già parte ai combattimenti intorno alla capitale. La brigata “made in Usa” è formata da elementi scelti (e qui sta il lato più complicato di tutto l’inghippo) tra coloro che non hanno legami con i jihadisti di Jabhat al Nusra. Con tutte queste magagne che bollono in pentola, la “meraviglia” e la “indignazione” di americani, francesi, inglesi e, last but not least, delle Nazioni Unite, sembrano solo patetiche finzioni. Tutti sanno, ma cercano di guadagnare tempo, per uscirsene col minimo danno. Il team di ispettori Onu, dopo la comparsata durata quattro giorni, ha già lasciato la Siria, non si sa con quali orientamenti. Né conta più di tanto, per la verità. Perché i russi (e anche i cinesi) metteranno il veto a qualsiasi risoluzione che preveda l’uso della forza contro la Siria. E allora? Come nel classico gioco dell’oca, dopo aver tirato i dadi (regolarmente truccati), torniamo alla casella di partenza. Saranno gli americani a “salvare l’umanità”, magari con l’assistenza insperata di quel citrullo di Hollande? Da come si stanno mettendo le cose, aumentano i dubbi. A conoscere i retroscena, poi, lo sbigottimento cresce in modo esponenziale: in pratica, stiamo mettendo a rischio la pace in questa fetta di mondo solo a scopo “dimostrativo”. Ci spieghiamo meglio. Il “blitz” pensato dagli americani è una “pulcinellata”, nel senso che è stato studiato per fare meno danni “militari” possibili ai siriani. Si dice che gli Usa abbiano già “avvisato” i russi degli obiettivi che dovrebbero essere colpiti dai loro missili. Al Cremlino, ricevuta la lista della spesa, non se lo sarebbero fatti ripetere due volte: dopo dieci minuti l’elenco dei siti da annichilire era già sul tavolo di Assad. Insomma, e per farla breve, i siriani hanno già messo al sicuro tutto il possibile e aspettano l’attacco stravaccati sulle poltrone e con gli stuzzicadenti in bocca. In particolare, ribadiscono fonti “bene informate” di Gerusalemme, sono stati opportunamente tolti dalla circolazione carri armati, artiglieria e missili appartenenti alle unità della Guardia Repubblicana e alla 4. Divisione corazzata (di cui fa parte la 155ma Brigata di cui sopra). Sparpagliati, inoltre, i centri-comando di Homs, Hama e Latakia, tutti possibili bersagli dei “cruise”. Anche gli aerei da caccia e gli elicotteri da combattimento di Assad sono già stati messi al sicuro in rifugi blindati. Quando l’operazione- salvataggio sarà finita, i siriani faranno un fischio e (forse e se ne avranno voglia) gli americani potranno cominciare a bombardare. Come mai, direte voi, cotanta pantomima? Semplice, Obama e la squadra “vincente” dei suoi consiglieri ci hanno ripensato: non vogliono più sbarazzarsi di Assad per dire “prego, accomodatevi” alle milizie ribelli strapiene di fondamentalisti e di tagliagole iscritti nel libro-paga di al Qaida. George Friedman, prestigioso analista di “Stratfor”, un “think-tank” fra i più quotati, non ha dubbi. Dentro l’Amministrazione democratica il vento è girato. Obama ha le terga ancora ustionate dall’avventura libica e dalla “Primavera” egiziana e prima di farsi trascinare, con tutte le scarpe, in un altro covo mediorientale di serpenti, ci penserà sedici volte. Dopo la rappresaglia d’ordinanza, tra l’altro quasi concordata a tavolino con i “nemici”, vedrete che la Casa Bianca deporrà l’ascia di guerra per trovare una soluzione diplomatica alla crisi. Troppo forte il rischio di una “sindrome afghana”, quando gli Usa, per combattere i russi, armarono fino ai denti bin Laden. Anche Obama conosce benissimo ciò che hanno rivelato i servizi segreti di Sua Maestà britannica, portando in aula, a Westminster, un “report” dell’autorevole “ISC” (Parliamentary intelligence and security committee), dove c’è scritto che la minaccia più grossa per la sicurezza dell’Occidente non arriva da Assad, ma dai “ribelli”. Secondo il documento, membri di al Qaida e “singoli jihadisti”, sfruttando le opportunità offerte dalla guerra civile, potrebbero impossessarsi di armi di distruzione di massa per colpire le città occidentali. Per il capo degli 007 inglesi, Sir John Sawers, se il regime di Bashar al Assad dovesse cadere, gli scannapecore di al Qaida si fionderebbero sui depositi governativi, per impossessarsi di tutto e di più. Tra gli altri graziosi omaggi, frutto della disfatta alawita, ci sarebbero, oltre al “sarin”, anche iprite (gas mostarda), ricina, e il “VX”, un agente chimico micidiale. Lo ribadiamo: in Medio Oriente, dopo lo tsunami della “Primavera araba”, la confusione regna sovrana e l’ultima cosa da auspicare è una guerra generalizzata, con interventi esterni dagli obiettivi incerti e dalle conseguenze potenzialmente catastrofiche. Questo è il momento di togliere tutti gli alibi ai “professionisti dell’indignazione”. A coloro, cioè, che finora hanno tollerato 100 mila morti senza perdere l’appetito. Dato che conveniva essere girati dall’altro lato, perchè la Siria non è la Libia. Bene. Ci può anche stare nel porcilaio delle relazioni internazionali. Ma la gente ha il diritto di saperlo, dev’essere informata di tutto. Anche di quello che l’Onu, gli Stati Uniti e la pavida Europa già conoscono, in ogni dettaglio. Insomma, ci siamo capiti. L’America, di fatto, aveva preso le parti dei fondamentalisti più pericolosi, quelli che i “nervini” potrebbero lanciarli nelle nostre piazze. Qualcosa non quadrava, ora, forse, ci ha ripensato.
Siria, Obama costretto
a congelare l’attacco
di Piero Orteca
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