Lunedì 23 Dicembre 2024

Siria, c’è un piano
segreto di Barack Obama

Siria: con una delle sue ormai proverbiali piroette Obama è uscito da sotto un treno in corsa. E vi spieghiamo come. Ieri, a Ginevra, il Segretario di Stato John Kerry e il suo collega russo, Sergei Lavrov, hanno raggiunto un accordo di massima (era tutto già scritto) che dovrebbe tappare molte bocche. La Siria, in sostanza, deve fornire una lista delle sue armi chimiche entro una settimana. Kerry, in una conferenza stampa congiunta con Lavrov, ha detto che i due hanno trovato l'intesa sul metodo per rimuovere e distruggere l'arsenale chimico siriano. «Gli ispettori dovranno arrivare in Siria non più tardi di novembre e la distruzione delle armi chimiche dovrà essere completata entro la metà del 2014». Insomma, Obama ha fatto tombola con una sola cartella. Eppure in America è stato scaraventato nel tritacarne mediatico. Una specie di “Massacro di Fort Apache” riveduto e corretto, in cui, però, nel polverone sollevato dagli scontri, non si capisce più chi siano le giacche “azzurre” e dove stiano gli indiani. Con un’avvertenza: il film rivela una sorpresa non alla John Ford, ma alla Hitchcock. Dunque, il disorientamento per la strategia della Casa Bianca (o, almeno, per quella che è stata finora la linea ufficiale) si taglia a fette e i commentatori più autorevoli non sanno più a che santo votarsi. Tanto che hanno cominciato a sparare a mitraglia su tutto quello che esce dallo Studio Ovale, coinvolgendo nelle dolorose spazzolate giornalistiche buona parte dell’Amministrazione democratica, a cominciare dall’ossuto e segaligno Kerry. Il continuo ondeggiare di Obama, tra dichiarazioni di fuoco e successive smentite, in stile doccia scozzese, tra attacchi annunciati (con ore, quarti e minuti) e contro-ordini frettolosamente impartiti, ha stufato commentatori, analisti e i due terzi dell’opinione pubblica. Se, per ipotesi, si votasse domani, l’inquilino della Casa Bianca prenderebbe (forse) i voti di parenti, amici e qualche vicino di casa, dato che i sondaggi lo danno in calo vertiginoso di popolarità. Gli Stati Uniti, in questa fase, danno l’impressione di un transatlantico che gira in tondo. Perché il timone si è rotto? No. Perché il capitano si è addormentato nella sua cabina. O, peggio, sta provando a girare il timone di qua e di là, senza senso, dato che non riesce più a trovare la rotta giusta. Un quadro troppo brutto per essere vero. Obama non è mai stato il primo della classe in politica estera. Consapevole di questo, si è fabbricato un esercito di “consiglieri”, giovani, competenti e raffinati che, però, spesso sono in feroce contrasto tra di loro. Un coacervo di scuole di pensiero responsabili dell’andamento a zig-zag della “foreign policy” a stelle e strisce. E allora? Gratta gratta, sotto la vernice delle dichiarazioni di facciata e delle prese di posizione “ufficiali” spunta una politica diversa, parallela e sotto-traccia, che la Casa Bianca segue da alcuni mesi. È un filo così sottile e sofisticato che potrebbe rompersi in qualsiasi momento, ma in cui Obama crede, anche a costo di fare la figura dello sprovveduto. E infatti, fonti “bene informate” parlano di un piano presidenziale “segreto”, costruito tessendo pazientemente una tela che coinvolge i russi e, udite udite, persino gli iraniani. Secondo gli analisti israeliani, Obama, Rohani e Putin hanno raggiunto alcuni punti d’intesa sul. nodo scottante delle armi chimiche e su come evitare disastrose incomprensioni. Si tratterebbe del famoso “piano russo” che ora viene presentato come una novità e che invece era stato già cotto, mangiato e digerito. Anche l’assenso alle ispezioni concesso da Assad era stato abbondantemente previsto dal copione, allo stesso modo dell’adesione alla Convenzione contro le armi chimiche. Anzi, per chiarirci le idee, sono proprio gli specialisti dell’OPCW (Organization for the Prohibition of Chemical Weapons, con sede all’Aja, in Olanda) a fare la maggior parte dei controlli, i cui risultati sono poi utilizzati all’ONU. Il problema (per i tre partner improvvisati) dicono a Gerusalemme, è che il capo del’OPCW è un turco, Ahmed Uzumbcu, che potrebbe mettersi di traverso. Per questo Obama ha dovuto farsi carico di “ammorbidire” il governo di Ankara. C’è, inoltre, l’inghippo della vastità dell’arsenale siriano e della difficoltà (estrema) della sua messa in sicurezza. Kerry, nell’incontro con il Comitato del Congresso, ha parlato di mille tonnellate di gas micidiali, dal “mostarda”, al “sarin”, fino al “VX”. Sostanze che solo i tecnici americani potrebbero distruggere senza provocare disastri. Tempo previsto per lo smantellamento dell’arsenale chimico: almeno dieci anni. Un altro punto del protocollo segreto impone agli Usa di bloccare nuovi rifornimenti di armi ai ribelli, i quali in pratica, sarebbero gettati a mare con tutte le scarpe. Niente di nuovo sotto questo sole: gli americani si sono già calati lamaschera altre volte sbarazzandosi di “alleati” ben più importanti. Secondo i servizi segreti israeliani Obama avrebbe accettato questa clausola, abbandonando i rivoltosi nelle mani dei sauditi (sunniti) come chiedevano gli iraniani (sciiti). Del pacchetto farebbe parte anche lo stop all’addestramento di miliziani anti-Assad finora organizzato in Giordania. Inoltre, i russi avrebbero avanzato la richiesta di ripianare le perdite di armi chimiche di Damasco con armi convenzionali. Obama si sarebbe opposto, anche se resta da vedere come si comporterà nel caso Mosca dovesse fornire equipaggiamenti militari sotto-banco. Putin ha anche garantito ad Assad (e all’Iran) che se qualcosa dovesse andare male, all’Onu porrà il veto a qualsiasi risoluzione punitiva. È chiaro che la bozza d’accordo con russi e iraniani comprende, sullo sfondo, la chiave per risolvere la patata più bollente di tutte: quella del nucleare di Teheran. Obama, altrimenti, non avrebbe accettato di farsi coinvolgere in una trattativa segreta che, necessitando di limature e correzioni quotidiane, gli sta facendo perdere la faccia. Perché la sua politica estera, fatta di improvvisi giri di valzer e di tuffi carpiati, comincia ad apparire cervellotica anche agli analisti più scafati. Figuratevi all’opinione pubblica. I sondaggi sono chiari e fotografano un’America che ha piene le tasche di guerre e guerriglie. Quando il presidente pensava di andare al Congresso (per farsi dire “no”) era convinto di perdere “di misura”, con dignità, e di girare pagina scordandosi i missili e dedicandosi, invece, alla sua diplomazia fatta di incontri segreti e abboccamenti mascherati. Ma quando gli hanno fatto vedere i numeri è saltato dalla poltrona e si è rifugiato dietro la scrivania dello Studio Ovale. Alla Camera gli avrebbero votato contro quasi 350 deputati (su 433) e al Senato (dove ha la maggioranza) sarebbe stato affossato anche dai suoi stessi colleghi del Partito Democratico. Per cui, meglio che essere asfaltato dal voto congressuale, Obama ha cercato altre strade per allungare il brodo, dando a tutti l’impressione di essere diventato un comandante in capo con la spina dorsale di plastilina. È il prezzo, salato e bruciante, che ha dovuto pagare al suo disegno di rimettere le cose a posto senza sparare un colpo, coinvolgendo nello zibaldone diplomatico anche i suoi collaboratori. Un esempio per tutti? Il Wall Street Journal, dove presidente e Segretario di Stato vengono paragonati a Stan Laurel e Oliver Hardy, con l’avvertenza che, vista la situazione tragicomica della politica estera Usa, non si capisce chi sia Stanlio e chi, invece, faccia la parte di Ollio. Vi risparmiamo, poi, tutta la grandinata di titoli, dove gli accenni più benevoli vanno dalla “confusione” fino alla “incompetenza”. Insomma, è dura. Al punto che il nostro cavaliere senza macchia e senza paura ha cominciato a non fidarsi più manco della sua ombra. Sempre fonti israeliane, rivelano che sia Kerry che il Ministro della Difesa Chuck Hagel, sarebbero stati tenuti a “bagnomaria” durante la stesura del piano segreto, mentre il Consigliere per la Sicurezza Nazionale, Susan Rice, avrebbe addirittura fatto una scenata di quelle storiche per non essere stata consultata adeguatamente. In sostanza, in questa fase, secondo quanto trapela da Gerusalemme, Obama si appoggia solo su pochissimi intimi: il direttore della Cia, John Brennan, il capo dello staff della Casa Bianca, Denis McDonough, e il suo “adviser” più stimato, David Axelrod, che lo ha fatto vincere due volte, guidando le campagne elettorali per la presidenza. Speriamo, per noi e per lui, che lo faccia vincere anche questa volta.

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