Sabato 23 Novembre 2024

Destra e sinistra
da reinventare

 

Molti lo amano ancora follemente, per altri è il principale responsabile del degrado intellettuale e morale che pervade il nostro Paese. Ieri è stata la sua Waterloo, e lui non ha fatto niente, nelle precedenti quarantott’ore, per evitare la catastrofe in campo aperto, sotto i riflettori. Alla fine la lampante sconfitta politica: il sì alla fiducia. Giornate da incubo, che Berlusconi ha vissuto – ne siamo certi – tra l’incredulità e la rabbia, divenendo di ora in ora ostaggio di una sofferenza nuova, mai sperimentata. L’ego, abituato a vorticare senza freni tra cifre plurimilionarie e signorine senza età, belle e disponibili, ha dovuto fare i conti con l’impensabile. Mai il Cavaliere avrebbe immaginato di vedere la sua creatura rivoltarglisi contro, d’assistere all’ammutinamento di una parte consistente del suo esercito. Non i soliti nemici da affrontare, le immortali demoniache orde di “comunisti che mangiano i bambini”, ma venticinque moderati cresciuti chi nella Dc, all’ombra del Vaticano, chi nella gioventù liberale. E Berlusconi, mal consigliato da falchi e pitonesse, si è cacciato in un cul de sac. Ha reagito alle critiche interne non da leader di partito, capace di ascoltare le ragioni degli altri, ma da padrone sordo e presuntuoso. Il presidente-operaio, quello del contratto (in larghissima parte non onorato) con gli italiani, ha trattato tutti da “operai”, pedine del suo partito-azienda: nessun sondaggio gli ha suggerito come muoversi e, incalzato dall’approssimarsi del voto – fissato per domani in Giunta, a Palazzo Madama – sulla sua decadenza da senatore, ha forzato la mano. Crepi Sansone con tutti i filistei. Ha persino raccontato agli italiani, trattati pure loro da stupidi “operai”, la storiella della sfiducia al governo a causa dell’aumento Iva. Storiella a cui non avrebbe creduto neppure la nipote di Mubarak.
Il Paese non poteva consentirsi di rimanere legato a doppio filo al destino giudiziario di Berlusconi, condannato in via definitiva per la vicenda dei diritti tv, in attesa di giudizio nei delicatissimi processi per la “compravendita dei senatori” e per i “festini con minorenni” ad Arcore. Alfano, il “delfino”, l’ha ben capito. E, al bivio, non ha avuto scelta. Al di là delle ambizioni personali del politico, deciso ad assurgere – finalmente affrancato dal “padre” – a un ruolo autonomo di primissimo piano, resta l’intuizione di dover creare i presupposti perché anche in Italia possa trovar spazio – archiviato il berlusconismo – una destra moderna, normale e credibile. È questa la sfida vera, simmetrica a quella in corso nel Pd, alle prese con un analogo problema: individuare, nel rispetto della “filologia” della sinistra, nuovi contenuti distintivi che siano al passo coi tempi. 
Nell’era globale l’elenco delle istanze da intercettare, che vengono apparentemente “dal basso”, è interminabile. In tutti i  Paesi occidentali hanno messo radici “contraddizioni” ben più complesse di quella classica tra capitale e lavoro; legittimo sarebbe, per esempio, il tentativo d’organizzare una “resistenza” che almeno fosse in grado di limare la tecnocrazia riducendone i devastanti effetti, legittimo l’impegno per dare più tutela ai diritti civili smascherando le insidie che vengono dalla “biopolitica”, dai poteri che pretendono di regolare – e già regolano – il rapporto di ciascuno di noi con la propria sfera (sempre meno) personale. Anzitutto questi – assieme alla cruciale questione del lavoro, che deve tornare a essere associato soprattutto alla dignità della persona e non soltanto alla produzione – i terreni su cui dovranno confrontarsi destra e sinistra. La prima potrebbe farsi portavoce d’un realismo non piegato alle “convenienze”, d’un senso pratico dell’attualità storica calibrato però – a dispetto dei “tecnici” e delle loro semplificazioni – contro le derive dell’economia e della finanza; alla sinistra si chiede d’esprimere un umanesimo finalmente non ingenuo, di perseguire un modello di società in cui le individualità siano valorizzate nel rispetto del “collettivo”, in cui l’emancipazione non sia diseguale ma ammetta le diversità.
Questo, con tracotante ingenuità, ci aspettiamo per il prossimo ventennio. 

di Alessandro Notarstefano

Molti lo amano ancora follemente, per altri è il principale responsabile del degrado intellettuale e morale che pervade il nostro Paese. Ieri è stata la sua Waterloo, e lui non ha fatto niente, nelle precedenti quarantott’ore, per evitare la catastrofe in campo aperto, sotto i riflettori. 

 

Alla fine la lampante sconfitta politica: il sì alla fiducia. Giornate da incubo, che Berlusconi ha vissuto – ne siamo certi – tra l’incredulità e la rabbia, divenendo di ora in ora ostaggio di una sofferenza nuova, mai sperimentata. L’ego, abituato a vorticare senza freni tra cifre plurimilionarie e signorine senza età, belle e disponibili, ha dovuto fare i conti con l’impensabile. 

Mai il Cavaliere avrebbe immaginato di vedere la sua creatura rivoltarglisi contro, d’assistere all’ammutinamento di una parte consistente del suo esercito. Non i soliti nemici da affrontare, le immortali demoniache orde di “comunisti che mangiano i bambini”, ma venticinque moderati cresciuti chi nella Dc, all’ombra del Vaticano, chi nella gioventù liberale. 

E Berlusconi, mal consigliato da falchi e pitonesse, si è cacciato in un cul de sac. Ha reagito alle critiche interne non da leader di partito, capace di ascoltare le ragioni degli altri, ma da padrone sordo e presuntuoso. Il presidente-operaio, quello del contratto (in larghissima parte non onorato) con gli italiani, ha trattato tutti da “operai”, pedine del suo partito-azienda: nessun sondaggio gli ha suggerito come muoversi e, incalzato dall’approssimarsi del voto – fissato per domani in Giunta, a Palazzo Madama – sulla sua decadenza da senatore, ha forzato la mano. Crepi Sansone con tutti i filistei. Ha persino raccontato agli italiani, trattati pure loro da stupidi “operai”, la storiella della sfiducia al governo a causa dell’aumento Iva. Storiella a cui non avrebbe creduto neppure la nipote di Mubarak.

Il Paese non poteva consentirsi di rimanere legato a doppio filo al destino giudiziario di Berlusconi, condannato in via definitiva per la vicenda dei diritti tv, in attesa di giudizio nei delicatissimi processi per la “compravendita dei senatori” e per i “festini con minorenni” ad Arcore. Alfano, il “delfino”, l’ha ben capito. E, al bivio, non ha avuto scelta. 

Al di là delle ambizioni personali del politico, deciso ad assurgere – finalmente affrancato dal “padre” – a un ruolo autonomo di primissimo piano, resta l’intuizione di dover creare i presupposti perché anche in Italia possa trovar spazio – archiviato il berlusconismo – una destra moderna, normale e credibile. 

E' questa la sfida vera, simmetrica a quella in corso nel Pd, alle prese con un analogo problema: individuare, nel rispetto della “filologia” della sinistra, nuovi contenuti distintivi che siano al passo coi tempi. Nell’era globale l’elenco delle istanze da intercettare, che vengono apparentemente “dal basso”, è interminabile. In tutti i  Paesi occidentali hanno messo radici “contraddizioni” ben più complesse di quella classica tra capitale e lavoro; legittimo sarebbe, per esempio, il tentativo d’organizzare una “resistenza” che almeno fosse in grado di limare la tecnocrazia riducendone i devastanti effetti, legittimo l’impegno per dare più tutela ai diritti civili smascherando le insidie che vengono dalla “biopolitica”, dai poteri che pretendono di regolare – e già regolano – il rapporto di ciascuno di noi con la propria sfera (sempre meno) personale. 

Anzitutto questi – assieme alla cruciale questione del lavoro, che deve tornare a essere associato soprattutto alla dignità della persona e non soltanto alla produzione – i terreni su cui dovranno confrontarsi destra e sinistra. La prima potrebbe farsi portavoce d’un realismo non piegato alle “convenienze”, d’un senso pratico dell’attualità storica calibrato però – a dispetto dei “tecnici” e delle loro semplificazioni – contro le derive dell’economia e della finanza; alla sinistra si chiede d’esprimere un umanesimo finalmente non ingenuo, di perseguire un modello di società in cui le individualità siano valorizzate nel rispetto del “collettivo”, in cui l’emancipazione non sia diseguale ma ammetta le diversità.

Questo, con tracotante ingenuità, ci aspettiamo per il prossimo ventennio. 

leggi l'articolo completo