di Anna Mallamo
Ci manca, Italo Calvino. Ci mancano la sua grandezza sommessa, la sua curiosità minuziosa, la sua ironia, la sua straordinaria capacità di dare nomi alle cose eppure di smascherare ogni inganno del linguaggio (facendoci persino venire il dubbio che l’inganno sia nelle cose, e non nel linguaggio, o forse in una misteriosa convivenza-connivenza tra inganni reciproci), di coniugare un’esattezza scientifica con un’immaginazione dilagante, di trovare nuove strade per la letteratura, ma come se le avessimo percorse da sempre, come se la letteratura fosse una delle sue “città continue”, da cui non si può uscire mai. Ci mancano la sua leggerezza, la sua rapidità, la sua esattezza, la sua molteplicità: visibile, invece, lo è sempre, e forse sempre di più, cosa che in questi tempi in cui i libri nascono già morti, gli autori durano un mese e anche le librerie non si sentono troppo bene, è un autentico miracolo.
Oggi – che è il giorno in cui Italo Calvino avrebbe compiuto 90 anni, se un ictus non se lo fosse portato via nel 1985, un mondo fa – in tutta Italia ci sono letture, convegni, conferenze, ricordi della più varia natura. Vorrei citarne uno in particolare, per il suo carattere “globale”, visto che si svolge su Twitter: con l’hashtag #invisibili ogni giorno (invero già dal 23 settembre e fino al 16 novembre) si parla di una delle 55 “Città invisibili”. Come se ne parla? In qualsiasi modo vi venga in mente: per analogia o per contrasto, citando o stravolgendo il testo, cortocircuitandolo con testi, immagini, mondi. In un modo rapido, esatto, molteplice e “leggero” – e per giunta collegato a ciascuna delle regioni italiane, capitolo per capitolo (il piano generale sul benemerito sito twitteratura.it) – che a Calvino forse sarebbe piaciuto.
Lo scopo è riprendere quel libro capitale, di cui l’autore stesso diceva: «Il mio libro in cui credo d’aver detto più cose resta “Le città invisibili”, perché ho potuto concentrare su un unico simbolo tutte le mie riflessioni, le mie esperienze, le mie congetture». Un testo che egli stesso definiva «una rete», e che ora in Rete trova la sua moltiplicazione e rifrazione, la sua (e questo è un termine potentemente calviniano) «ramificazione».
Abitiamo tutti quella «città invisibile» che è la Rete, a cui portiamo – come cammellieri o marinai – le nostre merci preziose, i nostri immaginari, le nostre parole e storie, i nostri desideri, per scambiarli con gli immaginari, le parole, le storie e i desideri degli altri. In una memoria collettiva e condivisa che si rifà ogni giorno.
In tempi confusi e offuscati, in cui i libri sembrano volarsene via, nel mercato instabile e nei supporti elettronici (che invece sono solo un’altra declinazione della molteplicità e della rapidità), la leggerezza di Calvino ci riporta al peso specifico della letteratura nelle nostre vite, alle sue benedette ramificazioni che, come baroni rampanti, continuiamo ad abitare.
La folla di Palomar, Marcovaldi, Agilulfi, Cosimi Piovaschi di Rondò, Priscille, Ursule, Zylphie non ci lascia mai soli, si combina sempre in nuove storie, come un prezioso mazzo di tarocchi che – in un castello o in una taverna di destini incrociati, in una qualsiasi città con un nome di donna – possiamo consultare ogni volta che vogliamo per leggere il futuro ma soprattutto per rileggere il passato e il presente.
Ne ho scommesso proprio oggi con Qfwfq e il Decano: volete scommettere – ho detto loro – che se in un giorno d’autunno un viaggiatore si fermerà, da qualche parte, a leggere un brano di Calvino (a Messina sarà oggi alle 18 sulla scalinata Santa Barbara), o ad ascoltare qualcun altro che lo legge, che ne parla, allora saremo un po' più cittadini di Eufemia, la ben-nomata e ben-parlante Eufemia, città in cui ci si scambia la memoria e la parola, e si riparte un po’ più ricchi, sebbene non di merci, e un po’ più felici?
Quei due terribili vecchi si son rifiutati di scommettere: con Calvino, m’han detto, è una scommessa già vinta, fin dai tempi del BigBang, fin dai tempi del Sentiero dei nidi di ragno, e per tutti i futuri incrociati possibili. Poi son tornati a occuparsi della loro materia, e antimateria, preferita: l’universo. Proprio come faceva Calvino.
Caricamento commenti
Commenta la notizia