Quando si parla di spie, servizi segreti e giochi di Palazzo (fatti rigorosamente sotto banco) il più pulito ha la rogna. E, credeteci, le grandi democrazie non fanno eccezione. L’America, poi, nel caso specifico porta la bandiera, per molti motivi. Passi per la Russia, la Cina, Israele e molte altre potenze di medio e piccolo taglio, ma gli Stati Uniti, agli occhi dell’opinione pubblica internazionale, dovrebbero essere una specie di casa di vetro. Niente di più sbagliato, come dimostra la botola scoperchiata dal cosiddetto “Datagate”, che, ridotto all’osso, è un “affaire” assai emblematico. La prova provata che la “madre” di tutte le democrazie all’occorrenza tira per il suo e se ne strafrega dei principi morali nelle relazioni internazionali, dell’etica in politica estera e delle lezioni (strumentali) sul rispetto dei diritti umani. Tutte caratteristiche note, dai tempi in cui Berta filava, alla maggior parte degli analisti, che hanno sempre dibattuto sul rapporto tra efficienza e “libertà di mandato”. L’i m m a g i n e - s t ereotipo degli Stati Uniti è, in un certo senso, figlia dei film americani di cui ci siamo avidamente cibati negli ultimi sessant’anni: molta fiction, valori troppo spesso costruiti a tavolino e una lotta fra bene e male in cui il primo vince e ha, quasi sempre, il vessillo a stelle e strisce in mano. Mentre gli altri crepano o fanno la fine dei pellirosse, derubati delle loro terre, sterminati allegramente e, alla fine, rinchiusi a doppia mandata nelle riserve, come animali negli zoo. Astio contro gli Usa? Ci mancherebbe altro. Per noi rimangono un modello da seguire in diversi campi dell’esistenza. Però la verità non ha bandiere e i fatti della storia, dalle guerre contro il Messico fino al Vietnam, non si possono cancellare con un colpo di spugna. Vi risparmiamo tutte le considerazioni sugli interventi in America Latina, sulla Baia dei Porci a Cuba (dove il mitico Kennedy c’era dentro fino al collo), sul “c o n t a i nment” in Africa e in Asia, con guerre e guerriglie costate milioni di morti. Tutta questa premessa serve a farvi capire che, paradossalmente, bisogna stupirsi di chi oggi si stupisce. Perché tutti sapevano e ora fanno, come si dice dalle nostre parti, “i miracolati della grotta”. Inghilterra e Francia, ad esempio, hanno fatto da sempre carne di porco nelle relazioni internazionali, con un colonialismo predatorio che ci ha regalato quasi mezzo secolo di Guerra fredda. Perché tutti gli ex sudditi, sparsi nei tre quarti del pianeta, per togliersi dalle spalle il giogo degli ex padroni, si sono schierati con l’Urss, mentre gli americani trottavano di qua e di là per tappare i buchi, anzi, le voragini, aperte dal processo di decolonizzazione. In questa fase i servizi segreti di Washington ne hanno combinate di cotte e di crude, andando a spiare pure il gatto di nemici, amici, parenti e vicini di casa. Ma, si diceva prima, degli Usa “madre di tutte le democrazie”. È verissimo. Esiste una legge (FOIA, Freedom of Information Act) che consente a tutti di accedere ai fascicoli “declassificati” della Cia. Bene, c’è erba per cento cavalli. Esistono documenti che spiegano in tutti i particolari ciò che gli Stati Uniti (e i loro servizi segreti) facevano in Europa e anche in Italia, fin dalla fine della Seconda guerra mondiale. E per chi fosse ancora convinto che a essere spiati “per statuto” debbano essere solo gli avversari, ricordiamo che lo spionaggio “i ncrociato” è sempre esistito. Saremmo curiosi di conoscere i documenti chiusi negli archivi tedeschi relativi alla guerra civile jugoslava o alla colonizzazione finanziaria fatta a Est dalle banche germaniche dopo la disintegrazione dell’Urss. O i rapporti alquanto ambigui, per usare un eufemismo, dei tedeschi con l’Iran. E vorremmo anche sapere quali “alleati” possano essere entrati nel mirino dei Servizi di Berlino, magari sfruttando i capaci archivi della Stasi, la polizia segreta della Germania comunista. Così, per semplice curiosità, senza alcun cattivo pensiero nei confronti del Paese della Merkel. Che ora strepita come un gallinaccio perché gli americani sbirciavano dal buco della serratura. Magari, con un impeto di lealtà, la Canciellerona potrebbe aprire al mondo gli archivi dei suoi 007 e ci potrebbe spiegare chi vendeva le armi a croati e bosniaci in una guerra costata 250 mila morti. Tanto per gradire. Lo stesso disturbo potrebbe prenderselo Monsieur Hollande, per la Libia. Magari si scoprirebbe qualche gigantesco trappolone teso a chi aveva ottimi rapporti con quella nazione, mentre i francesi masticavano amaro sognando montagne di uranio e oceani di petrolio. La guerra contro Gheddafi l’h a nno preparata, a tavolino, nell’arco di sei mesi, i servizi segreti di Parigi. Altro che aneliti “democratici”! E Roma? E Washington? “E chissenefrega”, avrebbe risposto infastidito Sarkozy, mentre sorseggiava una coppa di champagne e pasteggiava a ostriche assieme a Carlà. Vogliamo parlare, poi, degli spionaggi incrociati, industriali ed economici, tra gli amiconi di Wall Street e quelli di Tokyo? O di come Obama ha fatto le scarpe al suo proconsole Mubarak, gettandolo ai pescecani? Salvo poi pagare dazio (a che prezzo!) con i generali del Cairo, che hanno cambiato schieramento in un quarto d’ora. Alla lista, lunga quanto la fame, di tradimenti, giravolte e sfonda-piedi che non ti aspetti, devono essere poi aggiunti i “servizi” sauditi, quelli pakistani (dove non sai mai a chi stringerai la mano) e numerosi altri gruppi di “b a r b efinte” del Golfo Persico, dove emiri, califfi e altri potenti in barracano ti abbracciano con un coltello dietro la schiena. Dulcis in fundo, ci sono poi i “maestri” israeliani del Mossad e dello Shin Bet, che non si fidano manco delle loro ombre. Gli americani davanti sorridono e dietro le quinte sudano freddo. Sanno che nel Congresso (e soprattutto fuori) esiste una potentissima lobby ebraica, che fa sentire il fiato sul collo del presidente Usa. Pronta ad azzannarlo. L’anno scorso Tel Aviv ha tentato il colpo, agganciando un tecnico dell’Us Navy (Jonathan Jay Pollard) per ottenere informazioni riservate. Gli americani hanno mangiato la foglia e hanno scaraventato nelle patrie galere Pollard, protestando furiosamente con Gerusalemme. Vogliamo dirla tutta? Nella superpotenza delle superpotenze i servizi segreti sono una pletora e, soprattutto, si pestano malignamente i calli, alla faccia della sicurezza nazionale. Questa competizione, degna di un film di Totò, ha raggiunto il suo acme con l’attentato alle torri gemelle. Intendiamoci, non è che tutte le colpe siano delle barbefinte targate Cia. Le castronerie vanno ecumenicamente divise, e in senso bipartisan, con un sistema politico che ha ritenuto logico fino al 2004 tenere in piedi, senza un “coordinatore”, un carrozzone che conta ben 16 servizi. Che nel migliore dei casi hanno qualche “difetto di comunicazione” e, nel peggiore, si fanno allegramente le scarpe a vicenda. L’11 settembre, ad esempio, ce l’hanno sulla coscienza in parecchi, a cominciare da George Bush, proseguendo per la compagnia dei “neocons” e finendo con l’Fbi, incapace di indagare persino sugli aspiranti aviatori arabi che, nelle scuole di volo americane, si allenavano solo a decollare. Tanto, gli atterraggi non gli interessavano. Sottovalutazione degli avversari, sopravvalutazione degli “a m ici”, informazioni comprate a peso d’oro rivelatesi veri e propri bidoni, previsioni sgangherate sulla “ricaduta” di certe mosse diplomatiche: ce n’è per tutti i gusti. E ora la misteriosa National Security Agency, che ha fatto perdere la faccia a Obama e che, ne siamo sicuri, spiava pure lui.