Se non è la Pearl Harbor della diplomazia americana poco ci manca. La Primavera araba ha fatto a Obama un altro “regalo” di quelli che non si sarebbe mai sognato, nemmeno nel peggiore scenario di fantapolitica: l’Egitto, l’architrave di tutto il Medio Oriente, ha, praticamente, rovesciato le alleanze. I militari del Cairo, dopo aver messo sotto chiave il presidente Morsi (fondamentalista islamico in doppio petto, che aveva regolarmente vinto le elezioni) hanno calato l’asso di briscola, mollando la Casa Bianca e abbracciando, molto calorosamente, il Cremlino. Così Superbarack ha perso in un colpo solo carrozza e cavallo, gettandosi con tutte le scarpe nel ginepraio del Nord Africa e servendo su un piatto d’argento, all’odiato Putin, la Terra del faraoni. Se ci fosse il “Premio Giufà” per la politica estera, sicuramente gli “adviser” (o almeno coloro che compongono l’ex “cosca vincente”) della Casa Bianca lo vincerebbero di corsa. Oggi Washington, dopo avere scoperchiato il Vaso di Pandora, si trova a dover fare i conti (salatissimi) con tutti i venti ciclonici che spazzano la Mezzaluna. L’Egitto è quasi perso, la Libia è una polveriera, l’Arabia Saudita fa la fila dietro le porte del Cremlino, la Siria è un mattatoio in cui ci si scanna 24 ore al giorno (anche se arriva qualche speranza da Ginevra, riguardo alle armi chimiche). Poi ci sono la Tunisia, che traballa, e l’Algeria che pare una bottiglia di spumante violentemente scossa a cui sta per saltare il tappo. Per non parlare del Mali (omen nomen), del Sudan, dei tre quarti del Sahel, giù giù, fino all’incubo degli incubi: la Nigeria. La quale, se dovesse esplodere, farebbe più danni dell’asteroide che sterminò i dinosauri. Insomma, una catastrofe senza attenuanti. Andando al traino dell’imbecillità diplomatica britannica e, soprattutto, francese, gli Stati Uniti non solo ne hanno combinate di tutti i colori, ma si sono, in pratica, adoperati per togliere le castagne dal fuoco agli amici-nemici di Mosca. Ustionandosi irreparabilmente. Si diceva dei generali egiziani, i quali si sono fatti quattro risate quando Obama gli ha stracciato in faccia i contratti per l’assistenza militare, “punendoli” per aver cacciato Morsi e liberato Mubarak. “Niente più armi? - ha sibilato El-Sisi, l’uomo forte del regime – e noi ci rivolgiamo allo sportello accanto.” Da dove spunta, tanto per capirci, la faccia di Putin. Espressione calorosa come un ghiacciolo, occhi socchiusi a mo’ di fessure, labbra esangui e sorriso di sguincio, Vladimir Vladimirovic ha lo stesso appeal di un crotalo diamantino. Ma ha anche neuroni (e consiglieri) che agli americani, usando il nostro idioma, la vincono per tre punti. Così, il suo Ministro degli Esteri, Sergei Lavrov e Mikhail Zavaly (responsabile dell’Agenzia russa Rosoboroexport) hanno confermato di avere concluso contratti di vendita d’armi all’Egitto per la bellezza di 2 miliardi di dollari. Nella lista della spesa sono compresi i micidiali aerei da combattimento Mig-29/M2, elicotteri anti-carro e missili in tutte le salse. E mentre Obama ha le mani ai capelli e al Pentagono bevono si abbuffano di “tavor”, i russi sarcastici commentano: “Il mercato mondiale delle armi è sempre aperto. Se uno si tira indietro (gli americani, n.d.r.) un altro piglia il suo posto.” Certo, a Mosca si scordano di dire che uno shopping di questo tipo ha, soprattutto, una valenza politica. Anche perchè ci risulta che altre potenze sunnite della regione, a cominciare dall’Arabia Saudita, potrebbero presto saltare il fosso o, nella migliore delle ipotesi, giocare con due mazzi di carte. Ma lo scoppolone per i Premi Nobel a stelle e strisce non si ferma qui. L’accordo con i nuovi “alleati” prevede che la flotta russa possa dimorare, “full pension” nei porti egiziani che si affacciano sul Mediterraneo. Gli israeliani, subito allarmati dall’ennesimo pasticcio combinato dagli americani, hanno subito spifferato le clausole “segrete” dell’intesa tra Mosca e Il Cairo. Nell’ordine: 1) La realizzazione di un sofisticatissimo scudo anti-aereo, che copre tutti i cieli egiziani, da Suez al Mar Rosso, fino al Mediterraneo Centrale, capace di annichilire persino i caccia “stealth” (invisibili). Nostre fonti rivelano (qui casca l’asino e il discorso si fa rovente per Obama) che il sistema “è congegnato anche per essere operativo nello spazio aereo saudita”. Cioè, tradotto, dal politichese, che anche Riad è d’accordo con russi ed è pronta a fare le scarpe ai brachettoni d’Oltreoceano. Chiaro? Abbastanza. Tanto è vero che a Washington stanno andando fuori di testa. 2) La difesa missilistica prevede (cosa che spiega la filosofia dell’operazione) un’estensione capace di coprire tutto il Medio Oriente e il Golfo. Compreso l’Iran. Per questo i sauditi sganceranno, pronto cassa, la bellezza di 4 miliardi di dollari. 3) I servizi segreti israeliani hanno fatto trapelare un’altra “bomba”. Almeno 1.500 “istruttori” militari russi saranno stanziati in Egitto, per sovrintendere all’installazione dei missili. Un ugual numero di “consiglieri” lavorerà nella grande base navale (Alessandria) dove la flotta di Putin getterà le ancore. Trattative sono in corso anche per una base nel Mar Rosso. Una mossa che consentirebbe al Cremlino di controllare in modo indiretto (ed eventualmente “strangolare” ) il Canale di Suez. Ergo, 42 anni dopo essere stati cacciati a pedatone nel sedere da Sadat, i russi tornano in Egitto con la musica e le bandiere al vento, grazie alla dabbenaggine e ai dilettanti allo sbaraglio che bivaccano non solo a Washington, ma anche in molte altre Cancellerie occidentali. Il nuovo feeling con Mosca è stato consacrato dalla visita ufficiale di Lavrov, del Ministro della Difesa Shoigu e dell’incrociatore pesante Varyag, accolti con tutti gli onori e salutati con salve di cannone. I babbioni americani, mentre la casa bruciava, avevano sentito (bontà loro) puzza di bruciato. E si erano dati una mossa, spedendo il Segretario di Stato, al Cairo, in veste di pompiere. Ma, evidentemente, “Calamity” Kerry (non c’è bisogno di traduzione, basta guardarlo in faccia) è statommandato allo sbaraglio per spegnere l’incendio, armato soltanto di un secchio d’acqua. Che gli è stato metaforicamente scaraventato in testa. Offriva di ripristinare gli aiuti militari Usa (la “miseria” di 1,3 miliardi di dollari) in cambio di uno “stop” all’alleanza con i russi. El-Sisi ha accettato (gli aiuti), ma ha anche aggiunto che il business con Putin sarebbe andato avanti. “Avremo due amici al posto di uno”, avrebbe sibilato, velenosamente e con sussiego, il generale a John Kerry, allampanato e con le orecchie mosce come un setter in piena crisi depressiva. Sai che capolavoro diplomatico hanno combinato Casa Bianca e Dipartimento di Stato! E, tanto per rimanere in tema di parabola canina, il povero Kerry se n’è tornato con la coda fra le gambe, riferendo al suo Principale la ferale notizia. Pare che Obama, sull’orlo di una crisi di nervi, sputasse fuoco dalle narici contro gli “adviser” che gli avevano preparato il “piattino” della Primavera araba. Certo, in America, anche gli analisti più avveduti, come quelli di “Stratofor”, cercano di salvare il salvabile e, pur accusando la botta, non danno l’Egitto per “perduto”, anche se il nervosismo (e i sudori freddi) aumentano. Gli specialisti Usa pensano che la spaventosa crisi economica possa giustificare la strategia dei generali cairoti, cioè muoversi sulla lama di un coltello, mungendo aiuti a destra e a manca. La vera ragione di questo minuetto delle alleanze è, comunque, un’altra. E si chiama Iran. Più Obama si avvicina agli ayatollah e più egiziani e sauditi scappano in direzione opposta. Davanti a una “guerra mondiale” tra sunniti e sciiti il mosaico delle relazioni arabo- americane traballa paurosamente, anche perchè qualsiasi arretramento dei cosiddetti “moderati” aprirebbe un’autostrada ai fondamentalisti di ogni estrazione: wahabiti, salafiti e, dulcis in fundo, i tagliagole di al Qaida. Uno scenario da brivido
L’Egitto salta il
fosso e abbraccia
i nuovi alleati russi
di Piero Orteca
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