Cominciamo dalla fine: sul campo (sempre minato) dell’economia europea la Germania continua a mettersi di traverso. Lasciamo perdere l’Italia, che conta quanto il due di coppe, ma quando questa valutazione è fatta nei santuari della finanza internazionale, da Wall Street fino a Tokyo, passando per la City londinese, allora i dubbi diventano certezze. Avevamo detto che, davanti alla crisi, il Vecchio Continente si muoveva lento e in ordine sparso. Con alcuni Stati impegnati a valutare i “ritorni” delle politiche monetarie della Banca Centrale Europea (BCE) solo ed esclusivamente in termini di interesse nazionale. A cominciare dalla Germania e dalle “Sturmtruppen” (bancarie, è ovvio) di Frau Merkel. Certo, detto a denti stretti, l’Unione è un male necessario e nessuno si sogna di demolirla (per la verità, a scatapecchiarsi ci pensa da sola). Però, va ribadito con durezza, specie ai parrucconi che soffiano nelle trombe di un europeismo col salame sugli occhi, che per i cittadini contano solo i fatti. E i numeri dicono (ci ripetiamo a distanza di qualche settimana) che l’Europa è sempre in mezzo a una strada. Il presidente della Bce, Mario Draghi, l’ha capito da un pezzo ed è riuscito finalmente ad abbassare i tassi fino allo 0,25%, dopo una battaglia durata mesi e mesi e resistendo agli assalti delle “tribù” g e rmaniche, infoiate dal dio Odino della finanza pubblica (l’i nflazione). La cancelliera Merkel ha abbozzato, così come i suoi alfieri, bardati di tutto punto, dipinti di blu a guisa dei barbari Cherusci (gessato e con la cravatta, in questo caso) e covanti una sorda rabbia contro il console romano “Supermario” (Draghi), colpevole, dicono, di esporre l’euro a possibili rovesci. Tanto, da loro export e bilancia dei conti correnti vanno a bomba, il Pil sale e la disoccupazione è la metà della media continentale. La crescita? Se la vedano gli altri, sostengono a mezza voce e di sguincio alla Kanzleramt, per la serie “l’Europa Unita… con lo scotch”. Nella scheda di piede spiegheremo, le ragioni pratiche di questa mossa e i motivi più profondi dell’o s t i l ità tedesca. Tradottasi, e qui sta il punto, in un diluvio di critiche. Brian Stone e Anton Troianovski, sul Wall Street Journal, parlano, ad esempio, di un’ondata di rabbia tra i virtuosi risparmiatori teutonici, che con i tassi così bassi non fanno più fruttare a dovere i loro malloppi. Ma allora, viene da chiedersi, qualcosa si muove alla Banca Centrale Europea? Un pochino, se Carsten Brzeski (ING Bank), arriva a dire che i solerti berlinesi sono scioccati dal fatto che la Bce, per la prima volta, non mette i piedi dove le impone di metterli la Bundesbank. Insomma, “Supermario”, sfruttando la congiuntura politica tedesca, le faide intertribali tra CDU, CSU e SPD e i conticini larghi di manica del commercio estero esibiti dalla Merkel, ha fatto il colpaccio. E ora, però, comincia pure lui a diventare il bersaglio privilegiato dei rancori (e delle paure) di Grosse Deutschland, che finora, da Bruxelles a Francoforte (sede BCE), zitti e mosca, aveva fatto ballare pupi e tavolini. Oggi, oltre la linea Sigfrido, tra bunker e cavalli di frisia che proteggono salvadanai e registratori di cassa, le trincee scavate dai tedeschi per arginare il virus dell’inflazione fanno la figura di una scusa patetica. I tedeschi hanno rinunciato alla loro valuta nazionale, il marco, a malincuore, ma hanno schierato le panzerdivisionen finanziarie e le loro sturmtruppen bancarie nelle istituzioni che contano, proprio a cominciare dalla Bce. Ogni volta che la coperta è troppo corta, cioè che i conti non tornano (per loro), si sdraiano sul lettino dello psicanalista e strepitano contro la finanza “allegra” di certi Paesi (indovinate a chi pensano…). Ma la pantomima non funziona più. Come insegnano ad Harvard, per chi ci sa fare, le crisi non sono una rovina, ma, udite udite, addirittura un’o pportunità. Nel senso che, se gli altri si indeboliscono “noi” (i teutonici, in questo caso) ce li pappiamo. E se invece crepano, pace all’anima loro, “noi” (sempre i teutonici, per capirci) sopravviviamo. Anzi, vendiamo salute. Chiacchiere? Andate a consultare, prego, gli indicatori statistici dell’e c o n omia prussiana, che vi risparmiamo per non farvi venire un travaso di bile. Sono bravi? Ovvio, ma anche furbi a tirare la corda dalla loro parte. Questa storia dei tassi bassi (che per Paesi come Italia, Francia e Spagna sono ossigeno) li ha fatti andare in bestia. Der Spiegel ha scritto che si tratta “di un esproprio a carico dei risparmiatori” (quelli di casa loro). Manco una parola, invece, su disoccupati, precari, studenti e pensionati, che in altre parti dell’Europa non riescono a mettere d’accordo il pranzo con la cena. Ma non pensiate che anche il resto della stampa tedesca stia a guardare. Ormai è un coro generalizzato contro “Supermario”, che aiuterebbe i “sudisti” di cui sopra, disprezzando i consigli (o, meglio, le bacchettate) dispensati a profusione oltre il Reno. Non solo. Ma proprio lo spettro dello 0,25% starebbe facendo emigrare, secondo i “Berliner”, i capitali prussiani verso i più remunerativi mercati italiani e iberici. Pronti a pagare generosamente per finanziare i loro debiti pubblici, mentre banche e bancarelle di Frau Merkel vedrebbero i depositi assottigliarsi. Balle. Proprio grazie a un costo del denaro quasi a zero, dicono gli americani, sta ripartendo il settore delle costruzioni e delle case in tutta Europa, Germania compresa. Ancora niente di clamoroso, per carità. Ma qualche segnale incoraggiante c’è già. I tedeschi, scrivono al Wall Street Journal, magari in questo momento avranno interessi meno remunerati sui loro depositi, ma, in compenso, corrono bassi rischi di dover pagare per altri salvataggi stile Grecia. Anche se, da quest’o r e cchio, a Berlino proprio non ci sentono. Addirittura la “Bild”, unendosi al coro degli agonizzanti, parla di un Draghi ostaggio delle grandi industrie (non tedesche, naturale) che, addirittura, in una riunione a Londra, gli avrebbero imposto di tenere i tassi bassi. E, a completare l’opera, “Wirtschaft Woche” spara anche lei sul presidente della Bce a quattro palle due soldi, accusandolo di avere tagliato il costo del denaro non per evitare lo spettro della deflazione (e quindi della rigidità mortuaria dell’economia), ma solo per dare una mano ai Paesi poco virtuosi del Sud Europa. Lo stesso presidente della Bundesbank, Jens Weidmann, pur avendo dichiarato “che bisogna pensare anche agli interessi degli altri cittadini del Vecchio Continente e non solo a quelli dei tedeschi”, si è detto contrario alla mossa dello 0,25%. Ma “Supermario” non si è fatto impressionare. In un discorso tenuto proprio a Berlino ha voluto replicare alle critiche: nessuno pensi di influenzare la Banca Centrale Europea con atteggiamenti nazionalistici. Insomma, lui non rinuncerà a far uscire l’Unione dalla crisi solo per compiacere i panzuti risparmiatori tedeschi. Ci piace, perché ristabilisce un principio fondamentale per chi ama l’Europa. La storia non bara. Dopo la catastrofe in cui furono massacrate le tre legioni di Varo, il console Giulio tornò, vittorioso, oltre il Reno, lasciando ai guerrieri di Arminio un messaggio, che è un testamento. A Teutoburgo Roma, è vero, aveva perso la Germania. Ma anche la Germania aveva perso, per sempre, Roma. E qualche volta, purtroppo, si vede, ancora oggi.