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Anche l’Arabia Saudita
avrà la sua “bomba”


di Piero Orteca

Sposti una tessera del mosaico che riproduce le relazioni internazionali e “ballano” tutte le altre. Ormai crediamo che questo principio-cardine del mondo globalizzato sia chiaro a tutti. Prendiamo il Medio Oriente. Dalla cosiddetta “Primavera araba” in poi abbiamo assistito a un sempre più caotico “reshuffling”, rimescolamento di carte, che ha reso assai complicata qualsiasi strategia diplomatica. Si naviga a vista, insomma, e nessuno può dire quello che succederà domani. D’altronde, davanti ai nostri occhi, ne sono successe di tutti i colori: vecchi “amici” come Mubarak gettati ai pescecani, secolari “nemici” (Iran in testa) diventati, quasi improvvisamente, interlocutori privilegiati; storici alleati costretti a guardarsi le spalle dai loro “patrons” americani (israeliani e sauditi); ex criminali di guerra (Assad) prima demonizzati e poi, bellamente, ignorati; e ancora, fondamentalisti sciiti (Hezbollah) rivalutati e integralisti sunniti (dall’Irak alla Siria, dal Sinai al Libano) iscritti, d’ufficio, nella lista dei “babau” che non ti fanno dormire la notte. L’ultima notizia in ordine di tempo poi (tenetevi forte perchè è già stata confermata dai Servizi segreti di Gerusalemme) lascia a bocca aperta: il Pakistan sta passando tecnologia nucleare all’Arabia Saudita, in modo che anche Riad possa avere le sue belle bombe atomiche.  Gingilli che, contrapposti a quelli di Teheran e tenendo presente l’ambientino tutto gas e petrolio già esistente nella regione, faranno del Golfo Persico l’area più “esplosiva” del mondo. La ferale notizia (e non solo per Obama) arriva direttamente da Islamabad, dove il generale Raheel Sharif, nuovo capo delle forze armate pakistane, fra i primi compiti “istituzionali” (si fa per dire) si è ritrovato sulla scrivania quello di trasferire ai sauditi materiale nucleare (qualcuno accenna addirittura a bombe atomiche preconfezionate) e i relativi missili vettori. Gli israeliani parlano di un protocollo “segreto” (evidentemente come quello di Pulcinella) siglato da Islamabad e Riad nel 2004, con l’assenso degli americani e la benedizione di Bush. Obama, finora, era riuscito a congelare l’accordo ma, dopo il via libera concesso agli iraniani a Ginevra sui diritti nucleari, il programma si è rimesso in moto. Suscitando non solo le ire di Teheran, ma anche quelle, non meno prevedibili, dell’India. Per la serie “la diplomazia occidentale si muove come un elefante in un negozio di cristallerie”, gli ultimi spifferi di corridoio riferiscono di un’intesa tra Nuova Dheli e gli ayatollah per la costruzione del nuovo porto di Chabahar, terminale obbligato per tutte le merci in arrivo dall’Afghanistan. Così la partita si sposta fino all’Asia Centrale e coinvolge anche Kabul dove, a sorpresa, è volato il Ministro della Difesa Usa Hagel. Ricapitoliamo, per non perdere il bandolo della matassa e per evitare che ai nostri lettori venga l’emicrania. La “Primavera araba” ha sconvolto tutti i vecchi assetti strategici. Complicandoli, e non di poco. Il risultato più evidente è lo scoppio di una specie di “guerra mondiale” dentro l’Islam, tra sciiti e sunniti. Si è creato un asse sciita tra Libano (Hezbollah), Siria (Assad), parte dell’Irak e, dulcis in fundo, l’Iran di Khamenei. Dall’altro lato si sono coagulati i sunniti, da quelli più moderati fino ai feroci tagliagole di al Qaida. Nel gruppo metteteci, tra gli altri, l’Egitto, l’Arabia Saudita e gli Emirati del Golfo. Gli israeliani (temendo le atomiche di Teheran) stanno con questa strana alleanza. Gli americani, invece, ripudiati dall’Egitto, hanno fatto un giro di valzer, chiudendo l’accordo con gli iraniani. E spingendo i sauditi nelle mani del Pakistan, a elemosinare ordigni nucleari, per armarsi contro le possibili paturnie degli ayatollah nel Golfo Persico. A questo punto si è mossa l’India, nemica storica del Pakistan, per dare assistenza agli sciiti persiani. E, di questo passo, molto presto, si darà una mossa anche la Cina, che vede il gigante indiano come il fumo agli occhi. Anzi, già se l’è data, perchè ha cominciato a potenziare la base navale di Gwadar (Sud Pakistan) considerata una specie di “risposta” proprio allo scalo indo-iraniano di Chabahar. Non basta. Gli specialisti pensano che quando, l’anno prossimo, gli Usa (e gli altri soldati occidentali) lasceranno l’Afghanistan, la lotta per riempire il vuoto strategico creato (dagli americani) diventerà feroce e potrebbe portare a scontri colossali, in cui il sangue scorrerà a fiumi. Il premier pakistano, Nawaz Sharif, non vede l’ora che i talebani si installino nuovamente a Kabul, liberando, in contropartita le aree tribali (Waziristan) a nord del suo Paese. Così al Qaida la finirà di seminare bombe e di mettere in pericolo la sua leadership. Ovviamente, da quest’orecchio Obama non ci sente e, per “stabilizzare” l’Afghanistan, dopo che se ne sarà scappato nottetempo, ha chiesto l’aiuto dei confinanti ayatollah iraniani. Risultato: ora la Cina, abbandonati i turbanti sciiti degli ayatollah, flirta con le keffiah sunnite di sauditi, pakistani e talebani, in uno spettacolare rovesciamento delle alleanze. Tra le altre cose, il cambio della guardia ai vertici dell’esercito di Islamabad renderà più semplice, per l’Arabia Saudita, finanziare gli attacchi terroristici nel Baluchistan, regione meridionale dell’Iran diventata una vera spina nel fianco di Khamenei. E siccome lo spionaggio, come la vita, è fatto di priorità, pare che anche il Mossad israeliano si sia imbarcato in questa operazione anti-Iran, distribuendo consigli, chi l’avrebbe mai detto!, ai sauditi e ai loro 180 milioni di alleati pakistani. Ma a Teheran non dormono e sono pronti a fronteggiare l’inedita alleanza. L’agenzia di stampa Fars, ad esempio, ha rivelato un piano per fabbricare un “virus” informatico più distruttivo dello “Stuxnet” e destinato a sabotare i programmi nucleari degli ayatollah. Nel 2010, gli specialisti di Washington e di Gerusalemme riuscirono a “infettare” il software dell’impianto atomico iraniano di Bushehr, riducendolo ai minimi termini. Ora pare che una nuova collaborazione, tra gli “hackers” sauditi e quelli israeliani, sia sta siglata a Vienna, lo scorso 24 novembre, tra il capo dei Servizi di Riad, Principe Bandar bin Sultan, e il direttore del Mossad, Tamir Pardo. I sauditi finanzieranno l’operazione dopo quello che il loro governo ha furiosamente definito “a western treachery”, cioè “un tradimento dell’Occidente”, l’accordo di Ginevra con Teheran. Tornando allo scenario pakistano, ora bisognerà vedere se Raheel Sharif proseguirà la politica dell’uscente generale Pervez Kayani. Quest’ultimo, nei sei anni del suo regno, ha cercato di riunificare i mille rivoli in cui si erano dispersi l’esercito e i servizi di intelligence (ISI), riuscendo a sostenere la guerriglia sunnita nel Kahmir indiano. E per darvi un’idea, vi basterà sapere che l’ISI, ufficialmente alleato degli americani, finanziava e proteggeva i terroristi di al Qaida del gruppo “Lashkar-e-Taiba”, quelli che hanno piazzato le bombe a Mumbay (India) nel 2008, ammazzando, per la cronaca, 166 persone. E così, dopo tanto girovagare attraverso le ferite aperte di due continenti, torniamo al punto di partenza. La “Primavera araba”, originata dalla “Rivolta del pane” tunisina, fesseria dopo fesseria, è arrivata fino all’Asia Centrale e adesso minaccia di scatenare un macello tale da coinvolgere mezzo pianeta. La democrazia non si “esporta”, ma si matura, e la pace, il bene più prezioso di tutti, va costruita con pazienza, pezzo dopo pezzo e rispettando le culture diverse dalla nostra. Ergo: la politica estera non è fatta solo di cose desiderabili ma, soprattutto, di cose possibili.

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