Ormai l’hanno capito anche gli autori della frittata, che da un paio d’anni a questa parte, in politica estera, ne hanno combinate più di Giufà. Francesi in primis, britannici a ruota e americani a chiudere la processione dei pasticcioni. L’avere cavalcato le rivolte in Nord Africa (pomposamente etichettate come “Primavera araba”) per i propri meschini interessi di bottega, ha già causato una montagna di rogne alla comunità internazionale. Una lunga catena di sconquassi di cui ancora non si vede la fine. E, statene certi, le botte più grosse ancora devono arrivare. A parte tutto quello che è capitato finora sotto i nostri occhi (guerre di ogni tipo, attacchi terroristici, rovesciamenti di alleanze e via di questo passo), l’effetto più visibile delle maccheronate anglo-franco-americane è la lotta all’ultimo sangue scatenatasi, dentro l’Islam, tra sunniti e sciiti. Certo, prima non si amavano, ma adesso si sparano. E noi occidentali, in un certo senso, siamo messi in mezzo e rischiamo di fare la fine della classica sottiletta nel toast abbrustolito. Per essere più chiari, la guerra mondiale sunno-sciita si sviluppa “a macchie di leopardo” e si combatte in campo neutro, anche attraverso sanguinosi attentati. Oggi terreni ideali di scontro sono la Siria, il Libano, l’Irak, lo Yemen. Domani, per molti motivi, potrebbe entrarci anche l’Europa. Dunque, il già inguaiatissimo Paese dei Cedri è stato praticamente scaraventato in un burrone dalle Cancellerie di Parigi, Londra e Washington. Con un’avvertenza non di poco conto: il povero Obama il “pacco” l’ha subito da Capitan Fracassa-Sarkozy e dal premier inglese Cameron, che, evidentemente, sognavano entrambi di rincorrere i fasti dei perduti imperi, sbriciolatisi in una nuvola di calcinacci. L’ultima scossa in ordine di tempo è l’uccisione dell’ex ministro delle Finanze di Beirut, Mohammad Chatah (sunnita), in un attacco-bomba che ha fatto sette morti e una cinquantina di feriti. Un’auto imbottita di esplosivo è stata fatta saltare in aria in quella che appare come una “risposta” sciita all’attentato che aveva preso di mira la sede di Hezbollah e l’ambasciata iraniana. I giornali libanesi scrivono che il vero obiettivo dei “bombaroli”, addirittura, sarebbe stata la casa dell’ex premier Saad Hariri, nemico giurato del presidente siriano Bashar al-Assad e dei suoi alleati, appunto le milizie di Hezbollah. Chatah era un importante “adviser” di Hariri, che è il figlio di Rafik, ammazzato con un’altra auto-bomba nel 2005. E secondo i servizi segreti occidentali dietro l’attentato contro Hariri-padre ci sarebbe stata proprio la manina dei siriani. Anche se non ci sono state rivendicazioni ufficiali, Saad Hariri ha esplicitamente accusato Hezbollah di avere fatto il “lavoro sporco”. Aggiungendo, con chiaro riferimento a Damasco, che l’assassinio di Chatah sarebbe opera di “coloro che si nascondono alla giustizia internazionale (Assad) e che hanno sparso il fuoco della guerra fino al Libano”. Dal canto suo, visti i chiari di luna e il riavvicinamento agli americani, Hezbollah ha opportunamente preso le distanze dall’attacco. Anche se molti osservatori credono si tratti solo di una mossa tattica. Per la cronaca, cinque esponenti di questo movimento sciita presto dovranno essere processati perché sospettati di essere gli autori dell’attentato ad Hariri-padre. Dal canto, suo la Siria ha categoricamente respinto qualsiasi coinvolgimento nell’eliminazione di Chatah. Il Ministro dell’Informazione, Omran Zoab, ha definito “arbitrarie” le accuse gridate a mezza voce da tutto l’universo sunnita. Severe condanne (che lasciano il tempo che trovano) sono state espresse dal Segretario di Stato Usa, John Kerry, e dal Segretario Generale dell’Onu, Ban Ki-Moon. Comunque sia e tanto per capirci, Chatah, ritenuto un moderato, è saltato in aria mente si stava recando a un vertice tra i capi del blocco anti-siriano, denominato “14 marzo”. A quanto pare, è spuntato un ultimo messaggio dello stesso Chatah, twittato poco prima di morire, che parla delle pretese di Hezbollah di sostituire, in tutto e per tutto, la Siria nel sistema di potere libanese. Per far comprendere ai nostri lettori come la tensione fra sunniti e sciiti in Libano sia ormai alle stelle, basterà ricordare la cronologia degli ultimi attentati: il 9 luglio un numero imprecisato di hezbollah (tra 20 e 40) sono rimasti uccisi dopo un’esplosione a Beirut. Il 15 agosto un’auto-bomba ha fatto 27 morti e centinaia di feriti a Beirut Sud, in un quartiere sciita. Il 23 agosto a essere colpiti sono stati i sunniti di Tripoli (nord del Libano), che hanno subito un attentato all’ingresso di due moschee (40 morti e 400 feriti). Mentre il 19 novembre è toccato agli iraniani (22 morti e 140 feriti) essere i bersagli di un’esplosione nei pressi dell’ambasciata a Beirut. L’attacco, in questo caso, è stato rivendicato dal gruppo sunnita “Brigate Abdullah Azzam”. Infine, penultimo anello della scia di sangue, il 4 dicembre è stato assassinato Hassan Lakkis, uno dei più autorevoli comandanti di Hezbollah. Il Libano è ormai diventato l’ago della bilancia della guerra in Siria. Sotto la guida dei “consiglieri” iraniani e con il formidabile sostegno delle brigate di Hezbollah, che straripano proprio dal territorio libanese come un fiume in piena, i governativi si sono lanciati alla controffensiva in quasi tutto il Paese. Grazie a questa triangolazione è stata praticamente riconquistata la città di al-Qusayr, per il controllo dello snodo cruciale di Homs. I ribelli sunniti hanno risposto esportando la guerra in Libano. Così, a Tripoli, nel nord del Paese dei Cedri, combattenti salafiti (sunni) si sono violentemente scontrati con gruppi alawiti, della stessa fazione religiosa, cioè, di Bashar al-Assad. Secondo alcuni “think-tank” americani, i combattimenti si sono ormai radicati nel Nord Libano. A Tripoli sono stati coinvolti il quartiere sunnita di Bab al-Tabbaneh e quello alawita di Jabal Mohsen. In quest’ultimo caso, reparti governativi di Damasco hanno sconfinato, scontrandosi con gli estremisti sunniti del movimento al-Tawhid. La guerra si è allargata a macchia d’olio e rischia ormai di infiammare tutta la regione, dove gli insediamenti etnici e religiosi si sviluppano a scacchiera. La battaglia sviluppatasi nella Valle dell’Oronto, vicino ad al-Qusayr, ha permesso di guadagnare, nei mesi scorsi, il controllo del “crossroad” di Homs e le vie di comunicazione che portano verso la costa nord siriana e ad Aleppo. Non solo. Ma le ultime notizie dal teatro di guerra, parlano di un’avanzata quasi decisiva di lealisti e brigate di Hezbollah anche a sud di Damasco. I ribelli hanno accusato il colpo e hanno deciso di cambiare strategia per mettere in difficoltà le milizie sciite di Nasrallah. Notizie in arrivo dai servizi segreti occidentali, parlano di un riposizionamento delle brigate al-Nusra (in pratica, combattenti vicini ad al-Qaida) in Libano, per alimentare gli assalti contro sciiti e alawiti, costringendo Hezbollah a guardarsi le spalle. I fatti collimano. Che questo possa essere il disegno sunnita è confermato anche dai “clash” registrati nella città di Sidone, a Sud, dove lo sceicco Ahmad al-Assir guida la rivolta dei salafiti. I combattimenti hanno coinvolto anche villaggi sperduti, come quello sunnita di Akroum, a nord, che i governativi hanno conquistato (grazie a Hezbollah) cercando di aprirsi la strada verso Talkhalakh. Anche in questo caso è stato fondamentale il ruolo dei clan sciiti della zona (al-Jafaar, nel distretto di Hermil). Insomma, ci siamo capiti. La “Primavera araba”, propagandata come una raffinata pietanza “democratica”, buona per tutti i palati, si è invece trasformata in un gigantesco calderone in ebollizione, la cui brodaglia rischia di ustionare, irrimediabilmente, chiunque si azzardi ad assaggiarne una cucchiaiata.
Libano, campo neutro
della guerra in Siria
di Piero Orteca
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