Sigfrido aveva la “sindrome dei draghi” e li andava ammazzando per le foreste. E i tedeschi, impettiti come gallinacci, da bravi discendenti dell’eroe nibelungico, continuano nella loro tradizione di famiglia e vanno cacciando ancora draghi. Uno solo, per la verità. Oggi si chiama “Supermario” (Draghi) e fa il presidente della Banca Centrale Europea. E per completare il curriculum del mitologico mostro, vi diremo che ha anche il difetto di essere italiano e di pensare con la sua testa. Ieri la Corte Costituzionale tedesca è entrata pesantemente in gioco in questo novello safari nibelungico, contestando il ruolo della Banca Centrale Europea (BCE), a proposito del programma “Omt” (Outright Monetary Transaction). Cioè, per essere chiari, del piano di aiuti in titoli di Stato ai Paesi più indebitati. Per ora, pur esprimendo un giudizio di merito “pesante” (contro), la Consulta germanica ha deciso di non decidere, passando la patata bollente alla Corte di Giustizia Europea di Strasburgo (presieduta da un greco). In sostanza, sostengono i giudici tedeschi, «ci sono importanti ragioni per ritenere che con il piano “Omt”la BCE sia andata oltre il suo mandato di politica monetaria, violando quindi i poteri degli Stati membri e il principio che proibisce il finanziamento monetario dei bilanci nazionali». «Vorrei ma non posso », dice la Corte costituzionale di Frau Merkel? O «potrei ma non voglio»? La questione non è uno scioglilingua, ma la chiave per capire dove stiamo andando a parare. Perché, nel secondo caso, la partita è solo rimandata, mentre nel primo caso i tedeschi avrebbero evitato di “affondare” la strategia studiata proprio da Mario Draghi, riconoscendo la superiore competenza dell’Europa a decidere sulla questione. Certo, prima di cantare vittoria sul ritrovato “spirito europeista” di Grosse Deutschland si impongono alcune riflessioni. Al di là della pura questione di diritto, resta completamente intatta l’architrave del problema: in Germania non condividono per niente la filosofia della BCE e vedono il suo presidente come il fumo agli occhi. Punto. Da questa considerazione discendono a cascata tutte le altre, a cominciare da quella più ovvia: la locomotiva dell’Unione, il Paese più forte, non riconosce manco per niente il ruolo che sta giocando la BCE, cioè l’organismo finanziario su cui si fondano l’euro, le politiche monetarie e, più in generale, i destini economici del Vecchio Continente. Ci imbarchiamo in cotanta discussione, che potrebbe sembrare ai nostri lettori di pura accademia, per un semplice motivo. La crescita, il lavoro (e la disoccupazione), i prezzi, le tasse (e i conseguenti travasi di bile) dipendono in buona misura anche da questo delicatissimo rapporto, che si sviluppa sempre sulla lama di un coltello. Insomma, se domani, a tavola, al posto di pesce e bistecche troverete qualche uovo fritto miserello, la colpa è pure (ma non solo, è ovvio) di come si muove l’Unione. E quindi la Banca Centrale Europea e, per la proprietà transitiva, la Bundesbank e tutto quello che è “Bundes” (dalla Buneskanzelerie, la Cancelleria Federale, al Bundestag, il Parlamento tedesco). In poche parole, guardate a Berlino e troverete qualche risposta ai vostri magri bilanci familiari. Nessuno cerca capri espiatori per colpe che sono essenzialmente nostre. Per carità. Però… però la verità è che i tedeschi sono quasi sempre messi di traverso e quando una cosa va storta (perché non consente di guadagnare quanto vorrebbero) allora gli salta il ticchio. Grazie all’Unione e alla loro leadership economica (e politica) stanno facendo sconquassi in tutto l’Est Europa, nei Balcani e in mezza Asia, senza guardare in faccia manco gli amici, i parenti e i vicini di casa. Figurarsi quelli (come l’Italietta) che gli fanno un poco d’ombra. La questione è vecchia quanto il cucco e ce ne siamo occupati a più riprese, rimarcando una palese ovvietà: l’europeismo col salame sugli occhi e tanto al chilo è intellettualmente disonesto. Perché addita subdolamente chi critica le magagne e i buchi dell’Unione (anzi, le voragini) bollandolo come “euroscettico”, una sorta di untore che va spargendo i bacilli degli egoismi nazionali. Niente di più falso. Tornando al caso specifico, va ricordato che a strepitare e a stracciarsi le vesti contro la BCE è stato nientemeno che il presidente della Bundesbank, Jens Weidmann, al quale, come aveva già fatto in altre occasioni, non è parso vero di fare pelo e contropelo a Mario Draghi. Quando il nostro “professore” ha osato abbassare i tassi allo 0,25%, dopo una battaglia durata mesi e mesi e resistendo agli assalti delle “tribù” infoiate dal dio Odino della finanza pubblica (l’inflazione), i tedeschi hanno masticato amaro, accusando “Supermario”di esporre l’euro a possibili rovesci. Tanto, da loro export e bilancia dei conti correnti vanno a bomba (ma fino a un certo punto), il Pil sale e la disoccupazione è la metà della media continentale. La crescita? Se la vedano gli altri, sostengono a mezza voce e di sguincio alla Kanzleramt, per la serie «l’Europa Unita…con lo scotch». Brian Stone e Anton Troianovski, sul Wall Street Journal, hanno parlato di un’ondata di rabbia tra i virtuosi risparmiatori teutonici, mentre Carsten Brzeski (ING Bank), è arrivato a dire che i solerti berlinesi sono scioccati dal fatto che la BCE, per la prima volta, non mette i piedi dove le impone di metterli la Bundesbank. “Supermario” così è diventato il bersaglio privilegiato dei rancori (e delle paure) di Grosse Deutschland, che finora, zitti e mosca, aveva fatto ballare pupi e tavolini. Oggi, oltre la linea Sigfrido, tra bunker e cavalli di frisia che proteggono salvadanai e portafogli, le trincee scavate dai tedeschi per arginare il virus dell’inflazione fanno una figura patetica. Hanno rinunciato alla loro valuta nazionale, il marco, a malincuore, ma hanno schierato le panzerdivisionen finanziarie e le loro sturmtruppen bancarie nelle istituzioni che contano, a cominciare dalla BCE. Ogni volta che la coperta è troppo corta, cioè che i conti non tornano (per loro), si sdraiano sul lettino dello psicanalista e strepitano, sbavando, contro la finanza “allegra” di certi Paesi. Ma la pantomima non funziona più. Come insegnano ad Harvard, per chi ci sa fare, le crisi non sono una rovina, ma, udite udite, addirittura un’opportunità. Nel senso che, se gli altri si indeboliscono, “noi” (i teutonici, in questo caso) ce li pappiamo. E se invece crepano, pace all’anima loro, “noi”(sempre i teutonici, per capirci) sopravviviamo. Anzi, vendiamo salute. Chiacchiere? Andate a consultare, prego, gli indicatori statistici dell’economia prussiana. Sono bravi? Ovvio, ma anche furbi a tirare la corda dalla loro parte. Ormai è tutto un coro generalizzato contro “Supermario”, che aiuterebbe i “sudisti”disprezzando i consigli (o, meglio, le bacchettate) che arrivano dalla terra dei Nibelunghi. Tempo fa la “Bild”, unendosi alla litania dei flagellanti, ha parlato di un Draghi ostaggio delle grandi industrie (non tedesche, naturale). E, a completare l’opera, “Wirtschaft Woche” ha sparato anche lei a quattro palle due soldi sul presidente BCE, accusandolo di avere tagliato il costo del denaro non per evitare lo spettro della deflazione (e quindi della rigidità mortuaria dell’economia), ma solo per dare una mano ai Paesi poco virtuosi del Sud Europa. Ora lo stesso gran capo della Bundesbank, Weidmann, è tornato alla carica, sulla storia dei “bond”, anche se già sapeva che la sua Corte Costituzionale ben difficilmente gli avrebbe dato ragione, in prima battuta. A Berlino le cose le fanno con la testa (chiodata), specie quando si tratta di arraffare denari e di abbuffarsi di commesse commerciali. Il loro rumore preferito di sottofondo non è più lo sferragliare dei cingoli dei panzer, ma quello ben più armonioso dei registratori di cassa. Niente da dire, fanno solo i loro interessi. Appunto. Alla faccia della solidarietà europea e di quei quattro vecchi tromboni che ancora le stanno appresso.