La deposizione al processo sulla trattativa Stato-mafia del pentito Gaspare Spatuzza, è stata preceduta da una schermaglia processuale tra la difesa dell'ex senatore Marcello Dell'Utri, tra gli imputati, e i pm. Il difensore di Dell'Utri, l'avvocato Giuseppe Di Peri, ha chiesto che venga depositato agli atti del processo il verbale illustrativo della collaborazione di Gaspare Spatuzza, una mossa finalizzata a dimostrare l'inattendibilità del pentito che non ha parlato, nella dichiarazione di intenti imposta dalla legge ai collaboratori di giustizia, delle notizie apprese dal boss Giuseppe Graviano su Dell'Utri e Silvio Berlusconi. Per il legale, Spatuzza ha parlato delle circostanze riferite da Graviano dopo i 180 giorni che la legge indica come termine massimo entro il quale i pentiti devono dire all'autorità giudiziaria quanto a loro conoscenza. Le dichiarazioni tardive vennero bollate dalla corte d'appello di Palermo che condannò Dell'Utri nel 2010 per concorso in associazione mafiosa e che stigmatizzò il comportamento di Spatuzza dichiarandolo inattendibile. La Procura ha depositato un verbale illustrativo aderendo all'istanza del legale. Ma il difensore ha sostenuto che quello prodotto dai pm non è il verbale da lui richiesto, esistendone uno precedente. La Procura ha replicato che quello a cui il legale ha alluso è solo il primo verbale di interrogatorio reso dal collaboratore, non il verbale di intenti.
Spatuzza, don Puglisi voleva nostro territorio - "Purtroppo, e mi dispiace tantissimo, ho commesso, con vari ruoli, una quarantina di omicidi". Comincia così, con la confessione dei delitti a cui ha partecipato, la deposizione del pentito Gaspare Spatuzza che sta testimoniando al processo sulla trattativa Stato-mafia. Tra gli assassinii commessi il collaboratore cita quello di don Pino Puglisi, il sacerdote di Brancaccio ammazzato nel '93. "Padre Puglisi voleva impossessarsi del nostro territorio. - ha raccontato - Prima lo controllammo, poi si decise di ucciderlo. Volevamo simulare un incidente perché sapevamo che un omicidio di un prete avrebbe avuto conseguenze, poi però optammo per il delitto classico" "Era un sacerdote che andava per conto suo - ha raccontato - E dava fastidio. Quella della sua eliminazione era una pratica aperta da almeno due anni". "In piena campagna stragista - ha spiegato - nonostante avessimo sospeso le attività ordinarie, dovemmo occuparci di don Puglisi: questo per fare capire quanto dava fastidio". Spatuzza fu tra gli esecutori materiali del delitto insieme a Salvatore Grigoli. "Si decise di simulare una rapina - ha detto - Usammo una pistola di piccolo calibro per dissimulare la mano mafiosa". "Un capomafia - ha spiegato - non poteva tollerare che un prete si muovesse per conto suo e doveva dimostrare chi comandava a Brancaccio".
"Dopo le stragi di Roma e Milano nel '93 progettammo dei sequestri di persona per finanziare la nostra attività: avevamo già scelto obiettivi e nascondigli. Dovevamo rapire il nipote di un imprenditore che aveva una fabbrica di argenteria a Brancaccio e il proprietario del Giornale di Sicilia Ardizzone". Ha raccontato Spatuzza aggiungendo: ''Graviano con una battuta mi disse: 'affidiamo i sequestrati ai latitanti'''.
Spatuzza, sconosciuto a preparazione attentato - "Non era un ragazzo, né un vecchio. Doveva avere 50 anni. Non l'avevo mai visto prima, né lo vidi dopo quella volta. Di certo non era di Cosa nostra". Con queste parole il pentito Gaspare Spatuzza, che sta deponendo al processo Stato-mafia, descrive il misterioso uomo incontrato il giorno prima della strage di via D'Amelio nel garage in cui venne portata la 126 imbottita di tritolo e fatta poi esplodere. "In questi anni - ha aggiunto - mi sono sforzato di dare indicazioni su di lui, ma lo ricordo come un negativo sfocato di una foto". Il personaggio, ancora non identificato, partecipò dunque alla fase preparatoria dell'attentato al giudice Paolo Borsellino e agli agenti della scorta, secondo il pentito. Spatuzza ha descritto il suo ruolo nel furto della 126 e delle targhe da sostituire e nel trasferimento della macchina da Brancaccio al garage nella zona della Fiera di Palermo, a poca distanza da Via D'Amelio. "Non mi allarmò la presenza di quell'uomo - ha raccontato - perché se era lì era perché Giuseppe Graviano (il boss di Brancaccio ndr) lo voleva". Negli anni gli inquirenti hanno sospettato che il personaggio descritto dal pentito appartenesse ai Servi segreti o fosse l'esperto usato dalla mafia per gli aspetti tecnici dell'attentato.
Riina, telecomando bomba via D'Amelio era nel citofono - Dalle intercettazioni delle conversazioni in carcere di Totò Riina emerge che il telecomando usato per la strage in cui perse la vita il giudice Paolo Borsellino sarebbe stato piazzato nel citofono dell'abitazione della madre del giudice. Il boss, come riporta repubblica.it, l'avrebbe confidato al detenuto Alberto Lo Russo. Dalle conversazioni tra Riina e Lorusso, molto confuse e difficili da decrittare, non si capisce se l'esplosione dell'autobomba che uccise Borsellino e gli agenti della scorta sia stata provocata dallo stesso magistrato, citofonando all'appartamento della madre, o se ad azionare il congegno, piazzato nel citofono, sia stato, come ritenevano gli investigatori, il boss Giuseppe Graviano nascosto a poca distanza. Nessun pentito ha mai chiarito, finora, chi abbia azionato il telecomando usato per l'eccidio di via D'Amelio. Ora i pm di Caltanissetta che hanno riaperto le indagini sulla strage stanno cercando di verificare le ultime rivelazioni di Riina anche se, a distanza di 22 anni, sarà molto complesso riuscire a venire a capo del mistero. "Fu un colpo di genio", commentò Riina la trovata di piazzare il telecomando nel citofono. La conversazione, ora trasmessa ai pm di Caltanissetta che hanno riaperto le indagini sull'eccidio di via D'Amelio, risalirebbe ad agosto scorso. Non è la prima volta che il capomafia corleonese si vanta delle proprie "gesta stragiste". Nelle lunghe chiacchierate con Lorusso, il boss alterna minacce ai magistrati che indagano sulla trattativa Stato-mafia con ricordi dell'epoca delle bombe mafiose: "Io ho vinto proprio, ho vinto da strafare", dice. E rivendica, con toni irridenti, gli attentati di Capaci e via D'Amelio e, tra gli altri, gli omicidi del generale Carlo Alberto Dalla Chiesa e del giudice Rocco Chinnici.