Cominciano a circolare le prime ipotesi (molto accreditate), se non vere e proprie ricostruzioni, riguardanti il mistero del volo MH370, partito da Kuala Lumpur in direzione Pechino. Come tutti sanno (o, meglio, sapevano), l’aereo, un Boeing 777 malese, sarebbe scomparso dai radar “di botto”, a un’ora dal decollo, mentre si trovava sull’oceano, a metà strada tra la Penisola di Malacca e la costa meridionale del Vietnam. Gli scenari, però, ora cambiano. Secondo il premier malese Najib Razak, si è trattato di “un’azione deliberata”. Il premier ha aggiunto di non poter confermare se sia stato un dirottamento e di non sapere dove si trovi in questo momento il velivolo (?) ma ha quindi assicurato che le indagini sulla sorte dell'aereo e delle 239 persone che si trovavano a bordo continuano. “L'aereo - ha detto il premier - è rimasto in volo per altre sette ore dall'ultimo contatto con la torre di controllo, secondo gli ultimi dati satellitari che hanno rilevato la presenza del velivolo fino alle 8,11 locali”. Bene, questa ultima pezza per tappare il buco arriva un po’ in ritardo, perché già avant’ieri, le solite fonti “bene informate” (gli israeliani) avevano anticipato tutto l’inghippo. Per la verità, anche americani e inglesi, dal Washington Post al Guardian, avevano cominciato a mettere una grossa pulce nell’orecchio dei loro lettori, parlando di possibile matrice terroristica, ma le ipotesi più convincenti, anche questa volta, vengono delineate a Gerusalemme. La premessa, dicono gli analisti israeliani, è semplice: gli aeroporti del Sud-Est asiatico, dal punto di vista della sicurezza, sono tanti colabrodo. Secondo loro, i terroristi di al Qaida, sfruttando queste debolezze (ma si parla, più chiaramente, di vero e proprio “lassismo”) già 19 anni fa avevano pensato di organizzare una spettacolare serie di attentati (nome in codice “Bojinka plot”) nella regione. Ramzi Yousef e Khalid Sheikh Mohammed, avrebbero dovuto mettere in atto il master plan di Osama bin Laden, che prevedeva di provocare circa 4 mila morti facendo scoppiare 11 aerei in volo tra l’Estremo Oriente e gli Stati Uniti. Il piano non venne mai eseguito, ma resta la sua progettazione a testimoniare come i terroristi ritenessero il sistema di sicurezza aeroportuale di quella regione una specie di panetto di burro in cui affondare la lama di un coltello. È anche questo il motivo per cui John Brennan, capo della Cia, interrogato dal Council on Foreign Relations Usa ha dichiarato, qualche giorno fa, “di non potere escludere la matrice terroristica” dietro la scomparsa del Boeing malese. Insomma, cosa sa il direttore della mitica agenzia di spionaggio a stelle e strisce? Un fatto è sicuro, da mercoledì scorso l’area di ricerca per trovare tracce del “777” si è allargata a quasi 50 mila chilometri quadrati, e ormai coinvolge cinque Paesi (Malesia, Vietnam, Birmania, Indonesia e Filippine) e due oceani, l’Indiano e il Pacifico. Un vero ginepraio o, se volete, il classico pagliaio dove andare a scovare l’ago. Gli analisti israeliani hanno, comunque, cominciato le ricerche “indiziarie” e di intelligence per conto loro, arrivando già a nomi, cognomi e indirizzi dei possibili attentatori. In sostanza, sostengono da Gerusalemme, dopo essersi consultati con gli altri 007 occidentali, dietro la scomparsa (esplosione o tentato dirottamento) dell’aereo ci sarebbe l’ETLO (East Turkestan Liberation Organization), un gruppo islamico di etnia Uighura che combatte per l’indipendenza di parte dello Xinjang dalla Cina. In particolare, nell’area considerata, su 18 milioni di abitanti, ben 8 milioni parlano turco e sono, ovviamente, ferventi musulmani. Nel caso specifico, gli specialisti israeliani ipotizzano tre scenari. 1) Il personale addetto alla sicurezza nell’aeroporto di Kuala Lumpur potrebbe essere stato “comprato”, per chiudere un occhio e consentire a persone estranee di intrufolarsi fino alla scaletta dell’aereo, aggirando i controlli. 2) La larghezza delle maglie (ma sarebbe più opportuno dire delle falle) nel sistema di sorveglianza aeroportuale della regione è nota. Solo gli aerei in arrivo da India e Cina imbarcano stabilmente agenti dell’anti-terrorismo. Da questa considerazione ne discende un’altra. Arrivare a bordo “normalmente”, portandosi appresso esplosivi o armi, non dev’essere considerato difficile. C’è da aggiungere, poi, una nota sulla “professionalità”degli equipaggi. Due australiane, che hanno volato in partenza da Kuala Lumpur, hanno mostrato foto scattate nella cabina di pilotaggio assieme ai piloti malesi, manco si trattasse di una gita fuori porta. Bene, pare che uno dei piloti ritratti nelle foto-ricordo fosse ai comandi del Boeing scomparso l’altro giorno. 3) Se la sospetta banda di terroristi è arrivata a bordo eludendo i controlli, potrebbe essersi imbarcata prima di passeggeri ed equipaggio, neutralizzandoli al loro arrivo. Sotto la minaccia delle armi il pilota sarebbe stato obbligato a recitare la parte del “tutto va bene”. Questo spiegherebbe, sostengono gli analisti, perché il comandante sarebbe stato insolitamente asciutto (“Okay, ricevuto”) durante l’ultima conversazione con la torre di controllo, mentre sorvolava l’isola di Tho Chu. In alternativa, i terroristi si sarebbero nascosti nel vano “cargo”, dove vengono sistemati i bagagli, uscendo solo in un secondo momento per prendere il controllo dell’aereo. In ogni caso, la traccia radar non mente: il “777” ha improvvisamente invertito la rotta, senza avvisare il controllo di terra, puntando verso ovest. È a questo punto, dicono francamente gli esperti dell’intelligence, che le cose non quadrano più. I sequestratori potrebbero avere ucciso i piloti e l’equipaggio, provocando (inavvertitamente?) una forte decompressione che avrebbe ucciso tutte le 239 persone a bordo. L’aereo potrebbe aver poi volato per chilometri e chilometri, grazie al pilota automatico, portandosi dietro tutto il suo carico di morte, per andare a cadere in mare o in qualche giungla. Tutto ciò spiegherebbe un’altra anomalia nell’anomalia, e cioè la conduzione di un dirottamento apparentemente sconclusionato e senza grande logica. Insomma, qualcosa è andata storta. Dicevamo che il mistero del voloMH370arriva, per i cinesi, in un momento particolare e cioè dopo l’assalto dei terroristi Uighuri alla stazione ferroviaria di Kunming (Yunnan) che ha provocato una trentina di morti e centinaia di feriti. In quella circostanza, una decina di persone armate di coltellacci ha attaccato a casaccio i viaggiatori. La polizia è riuscita ad uccidere quattro terroristi e ad arrestarne uno, mentre gli altri si sono dati alla fuga. Accertata la matrice della strage, il presidente Xi Jinping e il premier Li Keqiang hanno annunciato di voler varare un immediato piano di sicurezza per fronteggiare la minaccia degli Uighuri. I cinesi temono, e non hanno tutti i torti, che gli islamici autonomisti dello Xinjang abbiano cambiato radicalmente strategia, passando da attacchi circoscritti alla loro regione ad attentati diffusi in tutto il Paese. Se ne era avuto un segnale premonitore lo scorso autunno, con attentati dimostrativi portati fin nel cuore di Pechino. Ma ora, per farsi un’idea di quello che diciamo, basti pensare che fra Kashgar, centro tradizionale di scontri e violenze e Kunming, città teatro dell’assalto all’arma bianca, ci sono oltre 5 mila chilometri di distanza. E anche se i servizi di sicurezza cinesi pensano che, probabilmente, potrebbe trattarsi di “cani sciolti”, che non obbediscono a un’unica centrale di comando, la tensione resta altissima, per l’allarme generato da eventi capaci di suscitare un fortissimo allarme sociale. Il motivo è molto semplice. Mentre, finora, gli obiettivi erano stati solo, per così dire, “istituzionali”, adesso sembra proprio che nel mirino siano entrati, indiscriminatamente, anche i civili. Insomma, già i cinesi erano in confusione mentale per il massacro della stazione, ma ora, dopo la vicenda misteriosa del Boeing partito da Kuala Lumpur e mai arrivato a Pechino, il terrore corre sul filo. Se i timori dei servizi di intelligence dovessero avverarsi, anche a loro toccherebbe cominciare a farsi la croce prima di imbarcarsi su un aereo.