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Addio allo scrittore
Saverio Strati

Ha raccontato e reso universale, attraverso i suoi libri, l’epopea calabrese degli ultimi Saverio Strati, lo scrittore calabrese morto il 9 aprile a Scandicci (Firenze) a quasi novant’anni. Una realtà fatta di lavoro duro e di emigrazione che lui, autore di opere inserite a giusto merito nel filone neorealista, ha conosciuto dal di dentro.
Strati era nato nel 1924 a Sant’Agata del Bianco, nella Locride, in provincia di Reggio Calabria, in una famiglia di contadini. E contadino prima e muratore successivamente è stato egli stesso, subito dopo avere conseguito la licenza elementare. Attratto dalla letteratura, però, Strati era riuscito a coltivare questa sua passione leggendo quando poteva opere di narrativa popolare. A dargli una possibilità, all’età di 21 anni, fu un parente emigrato in America che gli consentì di riprendere gli studi per superare gli esami da privatista al liceo classico Galluppi di Catanzaro e, successivamente, di iscriversi alla facoltà di lettere dell’Università di Messina. All’epoca, siamo nel secondo dopoguerra, nell’ateneo siciliano insegnava il critico letterario Giacomo Debenedetti che lesse un suo racconto e lo incoraggiò. Vide la luce così “La Marchesina”, una raccolta di racconti edita da Mondadori.
A Firenze dove si era trasferito nel 1953, Strati conobbe la moglie Hildegard Fleig, di origini elvetiche. In seguito visse alcuni anni in Svizzera prima di stabilirsi definitivamente alle porte di Firenze. Dopo il primo romanzo, “La Teda”, seguirono “A mani vuote”, “Il nodo”, “Noi lazzaroni” ed “È il nostro turno”.
Nel 1977 pubblicò “Il selvaggio di Santa Venere”, che ottenne il Premio Campiello, cui fecero seguito “Il diavolaro” e il più recente “La conca degli aranci” (1987). Tantissimi i racconti pubblicati su riviste, fogli letterari e quotidiani.

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