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Libia, colpo di
Stato made in Usa


di Piero Orteca

Contrordine, compagni! Dopo essersi fatto mettere la testa nel sacco da Capitan Fracassa-Sarkozy, da quel babbione molto “british” ma anche molto incapace di Cameron e dai soliti perbenisti in servizio permanente effettivo, che sostengono l’esportazione della democrazia anche all’inferno, il presidente degli Stati Uniti ha detto basta. La Libia che, dopo l’intervento occidentale, era diventata il posto più pericoloso del pianeta, in questi giorni assiste all’ennesimo rovesciamento di fronte, con un colpo di stato praticamente organizzato dagli americani. Sì, perché da quando i francesi hanno fatto la festa a Gheddafi, reo di non essersi spartito con loro uranio e petrolio, l’ex “cassone di sabbia” di giolittiana memoria si è trasformato in un Vietnam all’amatriciana, dove si spara, si ammazza, si sequestra, si deruba e il sangue scorre a fiumi. La “guerra per la libertà” è diventata un mattatoio a cielo aperto di bande armate, milizie, gruppi assortiti di scanna- pecore e, soprattutto, cellule inselvatichite di fondamentalisti islamici, che agiscono con la benedizione di al Qaida. Tutto previsto e denunciato in tempi non sospetti, per carità. Meno, però, da coloro che, a Washington, a Bruxelles e anche a Roma, avevano il dovere istituzionale di capire come stavano le cose. Dopo che la frittata era stata fatta, si è cercato, per lunga pezza, di nascondere i gusci delle uova inopinatamente rotte a dozzine, per occultare le responsabilità di una diplomazia col paraocchi. Ma adesso Obama si è stancato e ha sostenuto un bel colpo di stato in Libia. Di quelli impacchettati con la carta da regalo e col fiocco. Un golpe quasi “progressista”, tanto per accontentare milioni di ingenui e di gonzi, convinti che la democrazia si diffonda sulla punta delle baionette. Insomma, ci siamo capiti: appena le cose hanno cominciato a non girare più per il verso giusto (per gli americani, è ovvio) i blablabla ecumenici hanno lasciato il posto ai kalashnikov e i dolci “endecasillabi” che dipingono la solidarietà internazionale sono stati sovrastati dai colpi di mortaio. E la democrazia? Sotto i piedi. Questi i fatti: partendo dalla Cirenaica (Bengasi) il generale ribelle Khalifa Haftar ha dato l’assalto al Parlamento di Tripoli, dove la confusione regna sovrana. Anzi, accompagnato dai colpi di cannone dei suoi carri armati. Dietro questo caravanserraglio di bombardamenti c’è, gli israeliani ne sono sicuri, la manina della Cia. E quindi della Casa Bianca e, last but not least, degli Emirati del Golfo, che sganciano dollari per comprarsi la tranquillità e stipulare un’assicurazione sulla vita contro al Qaida. Compito numero uno di Haftar, infatti, sarebbe quello di liquidare le milizie fondamentaliste, che dopo la caduta di Gheddafi si sono moltiplicate come i conigli. Obama, in particolare, ancora si lecca le ferite per l’assassinio del suo ambasciatore (Stevens) e vorrebbe mettere il sale sulla coda di Abu Khattala, il leader del gruppo terrorista Ansar al-Sharia, resuscitato, in brachettona collaborazione, da francesi, inglesi e Usa, per la serie “oggi le comiche e domani le tragedie”. È tutto chiaro? Al tempo di Gheddafi, Saddam Hussein, Mubarak e via di questo passo, nei rispettivi Paesi di codesti dittatori e autocrati i tagliagole di al Qaida non esistevano manco a cercarli negli scantinati. Adesso, invece, prosperano e, statene certi, prima o dopo utilizzeranno le basi in Medio Oriente per incursioni terroristiche in Europa e negli Usa. Le ultime notizie libiche parlano di un colpo di stato dal fronte allargato, visto che anche le forze speciali del comandante Wanis Bukhamada si sono unite a quelle di Haftar nell’operazione denominata in codice “Dignità”. Pure le truppe che sorvegliano l’aeroporto militare di Tobruk si sono schierate coi golpisti. La mossa di Obama (da lui ovviamente negata, ma ci sembra il minimo) è stata accompagnata dall’invio di una specie di “general contractor”, l’ambasciatore David Satterfield, scelto dal presidente Usa per aiutare Haftar “a costruire il necessario consenso politico a sostegno del colpo di stato”. Satterfield è già direttore delle Forze e degli osservatori multinazionali in Sinai e, secondo gli analisti, potrebbe essere l’uomo giusto per fare riavvicinare gli Stati Uniti all’Egitto e ai generali golpisti del Cairo, che hanno fatto fuori i Fratelli Musulmani. Insomma, a dirla tutta, sembra di assistere a un nuovo e gigantesco rimescolamento di carte e di alleanze in Medio Oriente. Tutto questo per mettere una pezza ai buchi, anzi, alle voragini, apertisi con la Primavera araba. Fonti israeliane descrivono il golpe di Haftar come “studiato a tavolino” dalla Cia e dai servizi segreti degli Emirati del Golfo (Principe Sheikh Mohammed Zayed al-Nayhan e Luogotenente Generale Dahi Khalfan Tamim, tanto per fare nomi, cognomi e indirizzi). Coinvolto nel pastrocchio ci sarebbe anche l’US Africa Command (Africom), che agirebbe da coordinatore, mentre gli sceicchi del Golfo Persico pensano a sborsare i dollari per assoldare le varie tribù locali da utilizzare come esercito mercenario. Sempre spifferi in arrivo da Gerusalemme, parlano di una massiccia presenza in Libia dei servizi di sicurezza egiziani, coordinati dal Maggior Generale Mohammed Ahmed Fareed al-Tuhami, che si sarebbe recato a Washington in aprile per partecipare all’organizzazione del colpo di stato. Pare che truppe d’assalto egiziane siano già schierate al confine con la Cirenaica, pronte a dare man forte alle unità di Haftar nella realizzazione del golpe “democratico”. Loro compito sarebbe quello di guardare le spalle al generale scelto dalla Cia per chiudere la partita con i qaidisti. Haftar, partendo da Bengasi, infatti, deve allungare truppe e linee di rifornimento verso Tripoli fino alla bellezza di 650 chilometri. Intanto, anche se a prima vista non c’entra niente, gli Stati Uniti stanno conducendo manovre combinate con l’esercito giordano e con quello israeliano. Che collaborano con i vecchi nemici, diventati oggi, di fatto, alleati. Oltre 13 mila uomini sono impiegati nell’operazione Eager Lion (con Amman) e in quella Juniper Cobra con Israele. Si tratta di unità di pronto intervento utilizzabili immediatamente anche in Libia, in caso di necessità. E così il cerchio si chiude. Gli americani pare abbiano pensato già a tutto, mentre il governo assediato fa sapere che il prossimo 25 giugno si dovrebbe votare a Tripoli. Dopo, però, che i carri armati avranno fatto piazza pulita. Strano modo di “esportare” la democrazia. O no?   

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