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Il culto del possibile

Si è detto più volte commosso, Matteo Renzi. E, quasi, ci siamo commossi pure noi. Innanzi a un Paese che –nei frangenti difficili e drammatici, ai bivi decisivi –mostra di saper riprendere in mano il proprio destino nel modo giusto, riesce a virare costruttivamente e con determinazione, sa fiutare il futuro. Anche ricredendosi, come accadde in un passato non più recente: facendo –se serve – “macchina indietro” con spregiudicata umiltà. In queste elezioni la scelta era tra chi ha l’aria di volerci provare davvero a tirar fuori l’Italia dalle secche d’una troppo lunga crisi economica globale e chi vorrebbe invece, perché non sa far altro, limitarsi a scagliare pietre contro tutto e tutti, in nome di una “sovversione totale” populista e reazionaria, cieca e distruttiva. Ebbene, l’Italia ha mostrato di volersi fidare non di Renzi ma del suo approccio alle cose, diretto, concreto e rapido così com’è richiesto dai tempi. Non s’offenda e ci rifletta, Grillo, ma è lui –al di là dell’apprezzabile “travestimento”– a rappresentare il vecchio: gli italiani conoscono bene le chiacchiere e la rabbia urlata nelle piazze; sono stanchi, soprattutto, di leader che –mentre promettono miracoli –trascorrono gran parte del tempo ad autocelebrarsi e ad alimentare con narcisismo la “mitologia del capo”. Renzi non è l’uomo della Provvidenza; molti di quelli che l’hanno votato non lo amano. Ha preso voti a destra e, più sorprendentemente, ha pescato qualcosa pure nella sinistra radicale. E su questo gli “sfasciatori” di professione dovrebbero interrogarsi. Il nuovo non è in chi espelle dal proprio Movimento tutti coloro che non sono obbedienti al padre-padrone, il nuovo non è in chi vagheggia impossibili rivoluzioni –cruente o di velluto –, il nuovo (nel 2014) è rappresentato invece da chi prende la forma delle cose, s’adatta a un’era sconsideratamente accelerata, da chi realisticamente privilegia modelli praticabili purché la “cornice” sia (per quanto sommariamente, ma rassegniamoci) equa. Il nuovo è nel culto del possibile. Nessuna propaganda al trasformismo. Ma è demagogia, datato e volgare populismo voler vendere ricette ed elisir salvifici a trecentosessanta gradi. La “promessa di salvezza” tout court è ormai poco credibile, può andar bene soltanto ai bigotti (di qualunque fede), che siano poveri occidentali illusi o integralisti posseduti dal demone delle “certezze”. Adattarsi è ormai una necessità. Ed ecco Renzi: in molti lo hanno votato con un po’ di maldipancia, molti lo hanno votato “contro Grillo” e quel che Grillo rappresenta. Dovrebbe sforzarsi, Gianroberto Casaleggio, di pensare qualcosa di originale a proposito. Interrogarsi sull’effetto boomerang che è già in ogni lanciar pietre quando diventa “sistema” e unico argomento. I Cinquestelle non hanno perso perché l’Italia –questa l’analisi a caldo di Grillo, stizzito come i bambini che non sanno accettare le sconfitte – è «un Paese di pensionati», ma perché gli italiani sanno che –per coltivare e poi conservare i sogni –bisogna ogni giorno “sporcarsi le mani” nel mondo reale. E, governando, tentare di ripulirlo.

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