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Dietro la morte di Mattarella
intreccio politica-mafia

Sono passati 34 anni e celebrati tre gradi di giudizio, ma la nebbia sull'omicidio di Piersanti Mattarella ancora non si dirada. A denunciare la mancanza di chiarezza sull'assassinio dell'ex governatore della Sicilia, avvenuto il 6 gennaio 1980, e i depistaggi che ci sono stati è il presidente del Senato Pietro Grasso che, in occasione della presentazione del libro del giornalista Giovanni Grasso: "Piersanti Mattarella. Solo contro la mafia", parla apertamente di un intreccio tra chi deteneva "le leve del potere politico e mafioso". Assicurando che lui proseguirà nella ricerca della verità perché questa morte continua a "togliergli il sonno". L'omicidio del politico democristiano, spiega Grasso, Pm all'epoca dei fatti, venne eseguito per bloccare il "sogno di una Sicilia rinnovata" e un nuovo modo di fare politica in nome della trasparenza e della legalità. Di cui Mattarella divenne presto "un esempio". "Le carte processuali - dice - sono riuscite a fotografare solo una parte superficiale della storia, quella che riguarda ideatori e organizzatori del delitto. Nulla sappiamo degli esecutori o di eventuali mandanti esterni di cui pure si scorgono le sagome". Secondo Grasso, le indagini suggerirebbero "una partecipazione mafiosa" solo dei "piani alti e, quanto ai depistaggi, l'esperienza dimostra che quando arriva la strategia della confusione c'è sempre dietro qualche 'puparo' che manovra i fili del vero e del falso". "Io - afferma - ho sempre considerato l'omicidio Mattarella di tipo preventivo", inteso perlopiù "a mantenere lo status quo, impedendo il rinnovamento politico del compromesso storico" e lo stop "della penetrazione mafiosa nella Regione". Nel ricordare come lui, allora Pm, arrivò sulla scena del delitto già alterata perché si decise di portare Mattarella comunque in ospedale, Grasso racconta depistaggi e "anomalie". Tra le tante, quella della segretaria Trizzino, alla quale il politico siciliano aveva parlato di un suo incontro a Roma con il ministro dell'Interno Virginio Rognoni confidandole che se fosse accaduto "qualcosa di molto grave" alla sua persona si sarebbe dovuta ricordare della circostanza. La donna venne ascoltata dai magistrati solo agli inizi dell'81 "per omissioni dei Questori dell'epoca". Mentre le sue dichiarazioni erano state raccolte "in via confidenziale dalla squadra mobile" già nel marzo '80 senza che ne venissero informati gli inquirenti. E Rognoni venne sentito nel giugno successivo. Grasso riferisce anche di quando "boss" come Bontade si lamentarono con Andreotti per l'attività politica di Mattarella chiedendogli "un radicale cambio di rotta". Ma frenarono "il suo slancio rinnovatore" solo "le sei pallottole che l'ignoto killer gli scaricò addosso" proprio prima che venisse riconfermato "presidente della sua Sicilia".

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