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Irak, la grande sconfitta dell’America


di Piero Orteca

Dopo oltre 10 anni di guerre, guerriglie, micidiali attentati e interventi “umanitari” costati una montagna di vittime e un pozzo senza fondo di dollari, la sentenza è una, chiara e inequivocabile: gli Stati Uniti (e l’Occidente) escono da queste sconclusionate avventure pesti, sanguinanti e con le ossa rotte. Le chiacchiere stanno a zero e i fatti non ammettono repliche. Mezzo milione di irakeni sono in fuga da Mosul e Kirkuk (Kurdistan), dove i tagliagole dell’Isis (al Qaida) hanno combinato un macello. Come mai? Semplice. Dopo che gli americani sono scappati a gambe levate, il fragile governo sciita di Baghdad non riesce più a controllare manco quei quattro isolati dove sorgono i ministeri. In pratica, duole dirlo, si stava meglio quando si stava peggio. Al tempo di Saddam Hussein, i terroristi islamici legati a bin Laden non osavano sporgere il naso fuori dagli scantinati. Oggi hanno messo il Paese a ferro e fuoco, dilagando oltre frontiera, fino alla Siria, all’Egitto e alla Palestina e costringendo Casa Bianca e Dipartimento di Stato a stravolgere la politica estera Usa dalla sera alla mattina. I vecchi alleati, gettati frettolosamente a mare, sono stati rimpiazzati da nuovi e ambigui interlocutori, come i Fratelli Musulmani di Morsi e gli ayatollah iraniani, col contorno di Hezbollah. Risultato: il siriano Bashar al Assad, che doveva essere disintegrato, sta meglio di prima, i generali golpisti del Cairo guardano a Mosca, i sauditi flirtano con la Cina e gli israeliani non si fidano più nemmeno della loro ombra. In Afghanistan, infine, manca poco che i talebani vadano all’assalto del Pakistan. E la Libia e l’esportazione della democrazia?  Una barzelletta. Oggi, chi cammina per le strade di Tripoli e Bengasi sa quando esce di casa, ma non sa se e quando tornerà. Insomma, la politica estera americana non ne ha azzeccata una che sia una. E noi? In mezzo, a pagare le pere. Se quattro predoni cammellati hanno fatto fuggire mezzo milione di persone in poche ore, quanti ne scapperanno in futuro da tutto l’Irak, dalla Siria, dal Libano, dal Sudan, dall’Egitto e dalla Libia? Il conto si perde. Il grande esodo dei rifugiati, quello vero, deve ancora cominciare.

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