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Irak, inedita
alleanza Usa-Iran

di Piero Orteca

Le milizie di al Qaida stanno conquistando mezzo Irak. Dopo aver preso Mosul e Kirkuk nel nord, facendo scappare mezzo milione di disperati e causando una catasta di morti, i fondamentalisti dell’Isis sono entrati anche a Tikrit e si sono fermati a Samarra, a circa 70 chilometri da Baghdad. Dove il panico si taglia col coltello e sta spingendo altre migliaia di persone a svignarsela. I servizi segreti israeliani, comunque, sono corti e netti: gli Stati Uniti sono stati colti completamente di sorpresa e ora non sanno che pesci pigliare. Il presidente Barack Obama e i suoi adviser, insomma, sarebbero in piena confusione mentale e sull’orlo di una crisi di nervi. Il presidente Usa ha detto che non manderà truppe in Irak (come il britannico Cameron). Chiamatelo fesso, visti i catastrofici risultati ottenuti dopo oltre 10 anni di sgangherato “intervento umanitario”, pensato dalla cosca dei falchi che svolazzavano dentro la Casa Bianca. E imposto a Bush-figlio (che di politica estera capiva meno di zero) sulla base di documenti falsi e fabbricati a tavolino, che parlavano dell’esistenza di fantomatiche armi di distruzione di massa in possesso di Saddam Hussein. Ora che hanno ammazzato più gente della peste bubbonica, incendiato tutto il Medio Oriente, sconvolto gli equilibri già precari della regione e steso un tappeto rosso sotto i piedi dei miliziani di al Qaida, dunque, gli americani si tengono prudentemente alla larga e, anzi, gli ultimi civili e “c o ntractors” sono in fuga da Balad. Ma la notizia delle notizie è che sono in corso frenetiche trattative segrete con l’Iran (sì, avete capito bene, l’ex mortale nemico, almeno fino all’altro giorno) per cercare di arginare l’i n a r r estabile avanzata dell’Isis, i tagliagole sunniti che costituiscono la filiale irakena di al Qaida. E non è finita qui. La vera barzelletta di tutta la storia, che sembra scritta da Giufà, vi farà capire in quali mani sia riposto il nostro futuro. Tenetevi forte: il capo dell’esercito terrorista-fondamentalista, al Baghdadi, che sta buttando all’aria il Medio Oriente, era nelle mani degli Stati Uniti fino al 2009, sotto chiave. Poi è stato liberato con mille scuse e rimandato a casa, magari con la raccomandazione di non fare il birichino e di non mettere troppe bombe. Sembra incredibile, ma le rivelazioni dell’inglese Daily Mail non lasciano dubbi. Obama, la Cia, il Pentagono e tutti i professoroni del National Security Council si sono fatti fregare come una banda di beccaccioni. E ora l’Irak è esploso come il Vesuvio al tempo di Pompei. Il Segretario di Stato, l’ossuto e iettatorio John Kerry, che conta quanto il due di briscola, aveva timidamente parlato di “o p z i one militare”, ma si sono messi tutti a ridere. E infatti il “principale” l’ha subito zittito, ammettendo affranto che gli irakeni “non sono in grado di difendersi” e che gli Usa proseguiranno “un’intensa azione diplomatica nella regione”. Cioè, tradotto terra terra, il presidente farà il giro delle sette chiese, rigorosamente col cappello in mano, elemosinando qualche sostegno “pratico”, che non sarà certo gratis. Sfogliamo la margherita. Gli iraniani sono costosi in termini politici, ma sembrano i primi pronti ad agire. Il problema è che se mettono piede in Irak non solo non se ne vanno più, ma rischiano di scatenare una colossale guerra civile tra sciiti e sunniti. Teheran si è detta pronta “ad aiutare gli americani” (sembra fantapolitica), mentre l’ayatollah Sistani (irakeno) ha già chiamato tutti i suoi fedeli “alla difesa di Baghdad. Nella mischia potrebbero scendere sauditi (ma entrerebbero subito in rotta di collisione con gli ayatollah), giordani, turchi e, dulcis in fundo, anche gli israeliani. Che risolverebbero la pratica in una settimana, ma che, di sicuro, ne aprirebbero un’altra più grossa. Spifferi di corridoio, comunque, riferiscono di un deciso impegno “sotto traccia” degli iraniani, con la benedizione della Casa Bianca. Giovedì sera è giunto in Irak, spedito dal presidente Rohani, il generale Qassem Soleimani, comandante delle Brigate Al Qods. Ha il compito di riorganizzare la difesa della capitale, come ha già fatto, efficacemente, a Damasco. Dal canto loro, gli americani hanno dato via libera per fornire al debole governo irakeno i micidiali elicotteri da attacco “Apaches” e i missili aria-terra “Hellfire”, che, metteteci la firma, prima o dopo finiranno anche nelle mani degli ayatollah. A completare la frittata, si comincia a parlare di un’i ntesa segreta tra Obama e Alì Khamenei, la Guida Suprema, per un intervento diretto di truppe iraniane, cosa che, come abbiamo già detto, farebbe saltare il ticchio all’Arabia Saudita e a tutti i sunniti del Golfo Persico. A completare il disastro diplomatico Usa (la famosa “tripartizione” irakena) c’è anche il fattore curdo. I combattenti Peshmerga, infatti, evidentemente d’a ccordo con le milizie qaidiste, sono entrati anche loro a Kirkuk, prendendo possesso dei pozzi petroliferi. Gli analisti sottolineano come la conquista di Mosul sia la vittoria militare più importante di al Qaida nei suoi 27 anni di esistenza e che sia alle viste la formazione di un califfato islamico che va da al-Raqqah, nel nord-est della Siria, fino quasi a Baghdad, a 750 chilometri di distanza. L’esercito dell’Isis è formato da diverse decine di migliaia di combattenti, di cui almeno 12 mila arrivano dai quattro angoli del pianeta, uno specie di “i n t e r n azionale islamista”. Con l’Isis collaborano strettamente anche i qaidisti di Jabhat al Nusra, provenienti dalla Siria e armati (stupidamente) dagli occidentali contro Assad. ll pericolo posto da al Baghdadi, capo indiscusso degli agguerriti fondamentalisti irakeni, non va sottovalutato. Contrariamente ad al Zarkawi, il suo predecessore, ucciso nel 2006, i cui orizzonti si limitavano all’Irak, Baghdadi punta a dichiarare guerra al mondo. Il suo sogno è organizzare collegamenti stabili con Aqim (Al Qaida in Maghreb) e Aqap (Al Qaida in the Arabian Peninsula) e di esportare il terrorismo negli Stati Uniti e in Europa. Magari utilizzando lo stesso esplosivo che i babbioni americani e i loro soci gli hanno indirettamente fornito, distribuendolo come le caramelle in Siria.

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