Uno scenario inedito. E comunque in parte sicuramente diverso dalla verità processuale divenuta definitiva dopo tre gradi di giudizio, con un mandante e un esecutore già condannati. Tra le nuove e clamorose carte che raccontano della “fresca” collaborazione del boss 43enne Carmelo D’Amico, fino a non molto tempo addietro capo dell’ala militare di Cosa nostra barcellonese, ci sono quelle che indicano la sua verità sull’omicidio del giornalista Beppe Alfano, ammazzato dalla mafia tirrenica l’8 gennaio del 1993 a Barcellona Pozzo di Gotto. Una storia ancora per molti versi oscura, piena di depistaggi anche istituzionali. Un fascicolo ancora aperto sulla scrivania del sostituto della Dda Vito Di Giorgio e denominato “Alfano ter”, con la storia singolare di una pistola calibro 22, invischiata tra vari proprietari e passaggi di mano. Gli interrogatori del boss barcellonese D’Amico davanti ai magistrati della Dda non sono ancora terminati e sono letteralmente “blindati”. Ma a quanto pare durante uno dei colloqui l’uomo forte che gestiva il territorio di Milazzo per conto dei Barcellonesi avrebbe rivelato un contesto che si discosta, non poco, da quello acclarato dal processo che ha visto la condanna, in via definita del boss barcellonese Giuseppe Gullotti, nonché capo riconosciuto della “famiglia” del Longano, e dell’autotrasportatore Antonino Merlino, ritenuto l’esecutore materiale dell’omicidio.
I particolari li trovate sul nostro giornale
Caricamento commenti
Commenta la notizia