di Francesco Musolino
«In Sicilia chiudono le aziende che fanno i succhi di arancia. È una follia, come se in Francia chiudessero le aziende che producono champagne». Il giornalista e scrittore Pietrangelo Buttafuoco da oltre un mese sta attraversando la sua amata Sicilia per promuovere il polemico libro-pamphlet “Buttanissima Sicilia. Dall’Autonomia a Crocetta, tutta una rovina” (Bompiani) in cui racconta senza mezzi termini il degrado politico della sua terra. Dagli “enti mangiasoldi” alla “giostra della formazione”, in mezzo al generale clima d’indifferenza in cui è piombata la Sicilia, Buttafuoco non risparmia nessuno, nemmeno gli stessi siciliani, senza mai lesinare l’appellativo colto ma pungente al politico, da Raffaele Lombardo a Rosario Crocetta.
Il fine ultimo? Causare uno shock, provocare un risveglio nei suoi conterranei, con la richiesta esplicita di un commissariamento regionale e l’abolizione dello Statuto d’Autonomia Regionale, «unico frutto reale della trattativa Stato-Mafia».
Lei parla di una Sicilia che «affonda nella fogna mafiosa dell’Autonomia». Un libro per dirsi tutta la verità?
«Piuttosto un libro per prendere coscienza di come stanno le cose. Amo moltissimo questa terra ma alla fine ha preso il sopravvento la rabbia. Così è nata la necessità di raccontare perché sia attuabile una presa di coscienza, cruda e aderente alla realtà delle cose».
Propone una cura d’urto: commissariamento e abolizione dello Statuto Speciale. Perché?
«Ci serve un trauma. Qualcosa che ci svegli e ci allontani dal torpore. Dobbiamo mettere in discussione dalle fondamenta questo status quo. Visto che proprio in questo periodo si discute del Titolo V della Costituzione, sarebbe giusto che Matteo Renzi la smettesse di perdere tempo con l’abolizione delle Province e la pantomima del Senato per affrontare la questione delle Regioni, dove prevaricazioni e lungaggini si sprecano».
L’Autonomia non è dunque utile?
«L’Autonomia è cosa santa e giusta ovunque. Ma in questa nostra terra rappresenta la fogna del potere, visto che preziosissime risorse come il patrimonio culturale finiscono in balia dei meri interessi della Regione e del pessimo ceto politico che la governa».
Chiede un commissariamento per la Sicilia. Ha già in mente chi andrebbe bene?
«Penso ad una figura estranea alla politica, non un superpoliziotto, forse un imprenditore».
Descrive lo Statuto Speciale come l’unico frutto reale della trattativa Stato-Mafia. Conferma tutto?
«Certo! La concessione dello Statuto Speciale arrivò subito dopo la stagione separatista e sappiamo perfettamente che tutta una serie di interessi, anche extranazionali, vennero a convergere in Sicilia per piegarla ad un’idea di feudalesimo industriale, causando la devastazione del territorio, il suo impoverimento. Tant’è vero che l’unica industria forte di Sicilia è il pubblico impiego».
Noi siciliani ci meritiamo tutto ciò?
«Non c’è dubbio che ce lo meritiamo, dovremmo accusare noi stessi per come ci siamo ridotti. Un tempo eravamo attori di primo piano nel Mediterraneo e oggi siamo piena periferia culturale. Sa qual è il vero problema? Con la morte dei nonni non ci saranno nemmeno più i soldi delle loro pensioni ad aiutare quei ceti familiari che già boccheggiano».
Lei scrive: «Rosario Crocetta non risolve i problemi ma criminalizza i nemici». Con Crocetta secondo lei non c’è stato alcun cambiamento?
«Nessuno. Pensi che persino i consulenti sono pari pari ripresi dal suo predecessore. Non è cambiato nulla. Addirittura Crocetta è riuscito nel capolavoro di far rimpiangere chi è venuto prima di lui... Lui costruisce l’alibi alla propria incapacità di governo attraverso l’alibi dell’ideologicamente corretto. Se fosse stato Cuffaro a cacciare Battiato dalla giunta regionale per sostituirlo con la propria segretaria, sarebbe scoppiato uno scandalo nazionale...».
Torna sulla grande polemica sollevata da Sciascia, ma come si combatte la “mafia dell’antimafia”?
«La mafia dell’antimafia è semplicemente il meccanismo con cui una determinata espressione del potere si arroga uno scudo di invincibilità tale che nessuno può osare criticarlo, pena incappare nell’anatema più feroce, venendo bollato come mafioso. Guardi, la distinzione è semplice: una cosa è la mafia, una cosa è la mafia dell’antimafia, una cosa è la lotta alla mafia. Per farsi chiarire le differenze è sufficiente chiamare in causa Claudio Fava, un uomo che non ha mai utilizzato gli stilemi retorici di chi l’antimafia la declama e basta».
Un’ultima domanda. Cosa consiglierebbe ad un ragazzo siciliano che ha terminato gli studi?
«Il miglior modo per restare è andare via. Noi siamo come le lumache ormai, ci portiamo la casa appresso. La Sicilia ci procura sempre una fatica immane, ormai inutile. Serve uno shock per ritrovare la nostra terra».
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