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Irak, scordatevi di vedere soldati Usa


di Piero Orteca

 Finalmente l’ha capita pure lui. Obama ha dichiarato, più o meno solennemente, che “non potevamo ignorare il massacro di innocenti in Irak, ma questo non significa che l’America debba per forza intervenire in ogni crisi che si apre nel mondo”. Insomma, la sicurezza costa, in termini politici e finanziari, e chi si vuole vedere il cinema deve pagare il biglietto. Punto. Di sicuro il film, da ora in poi, non glielo faranno più vedere gratis gli Usa. Parole e musica sono successive al macello che vanno combinando, in questi giorni, i fondamentalisti dell’Isis proprio nel nord dell’Irak. Per ora la Casa Bianca si è limitata a raid aerei “di rifornimento” e a qualche bombardamento “chirurgico” (il presidente ha detto che sono state distrutte armi e attrezzature), con aerei cargo che hanno sganciato sul Monte Sinjar acqua e viveri, definendo la crisi “umanitaria”. Intanto i miliziani dello Stato islamico non lasciano partire circa 4.000 yazidi da due villaggi a sud della città di Sinjar e minacciano di “giustiziarli” se non si convertiranno all’Islam. Nei giorni scorsi, da Qaraqosh a Irbil, si era aperta la caccia ai cristiani, che infatti fuggono in massa da tutte le parti inseguiti (e sterminati) dai qaidisti guidati dal “feroce Saladino”, al secolo al Baghdadi, che sta facendo perdere il sonno a Obama e a tutto il National Security Council. Papa Francesco invita a pregare, ma i fatti di questi giorni sono la prova provata che le Cancellerie occidentali sono piene di incapaci. Non è la battuta della domenica, tanto per sparare a zero sulla Croce Rossa, ma lo dicono gli eventi, nudi e crudi. La politica estera delle principali potenze (metteteci, di sguincio, pure l’Italia) negli ultimi cinque anni è stata una catastrofe e ci ha portati sull’orlo di un precipizio da dove persino gli “ex poliziotti del mondo” (gli Stati Uniti) non sanno più come smarcarsi. Obama non programma, teorizza. Il presidente, purtroppo, capisce di foreign policy come di cibernetica, e per far vedere che dice qualcosa finisce per vaneggiare, sostanziosamente aiutato (anzi, portato sulla cattiva strada) da battaglioni di “adviser” che formano “cosche” e sono l’un contro l’altro armati. Parliamo del Medio Oriente, è ovvio (ma molto si potrebbe dire anche sui rapporti con la Russia e con la Cina), dove le colpe dell’Amministrazione democratica sono, principalmente, quelle di avere raccolto l’eredità di Bush-figlio non sapendo poi che pesci pigliare. Ma, verrebbe voglia di dire, calma e gesso, perché anche Barack Obama ci ha messo del suo. Le politiche di “exit strategy” per smammare da Afghanistan e Irak sono state un disastro e l’essere andati dietro, a pecoroni, alle sparate di Sarkozy (e all’insipienza di Cameron) con il sostegno acriticamente offerto alle varie “Primavere arabe”, non ha fatto altro che scaraventare gli Stati Uniti in un ginepraio senza uscite. I terroristi dell’Isis, legati a filo doppio ad al Qaida, nelle ultime settimane sono avanzati più velocemente della Wehrmacht al tempo della campagna di Francia. Ergo, tutto sbagliato, tutto da rifare. Casa Bianca, Dipartimento di Stato e Pentagono hanno semplicemente fatto la figura degli allocchi (senza offesa per i volatili), sovrastimando le loro capacità politiche, logistiche e militari e sottostimando, di converso, quelle degli avversari. Non c’è niente da fare. Per gli americani e gli anglo-francesi i “nativi”, specie se musulmani, hanno sempre l’anello al naso e la sveglia al collo. Dimenticando, evidentemente, le pedatone nel sedere affibbiate agli inglesi e ai russi in Afghanistan e la fine fatta fare a Gordon Pascià in Sudan. Per non parlare, cambiando emisfero, degli scoppoloni affibbiati, ai sudditi di sua maestà britannica, dagli Zulù nell’Africa del Sud. In sostanza, dicono in molti, la politica americana ha aperto una vera e propria autostrada al fondamentalismo islamico in tutto il Medio Oriente. L’ex ministro della Difesa, Robert Gates, autorevole componente della squadra di Obama per due anni, nel suo libro “Duty: Memoirs of a Secretary at War” (“Il dovere: memorie di un Ministro in Guerra”, edito da Knopf), dipinge il presidente come una specie di pupo, capace di ordinare una cosa e di pensarne un’altra. Un comandante in capo che, in Afghanistan (e in Irak), mentre i soldati Usa crepavano a migliaia, avrebbe semplicemente applicato una “dottrina” da “armiamoci e partite”. E chi si è visto si è visto. Gates ha un “pedigree” politico bipartisan. È stato, infatti, capo del Pentagono sia col repubblicano Bush che con il democratico Obama, che ha affiancato per due anni durante il primo mandato. Ha messo il piede in due staffe, insomma, con tutti i pro e i contro che ne conseguono. Il Wall Street Journal ha addirittura pubblicato parte di un capitolo da cui, guarda caso, Obama esce “viola” come una melanzana. In particolare, dicono i bene informati, Gates si toglie dalla scarpe una decina tra sassolini e chiodi a tre punte, che evidentemente si portava appresso da quando aveva lasciato il Pentagono sbattendo (quasi) la porta. Botte da orbi anche per il vice-presidente, Joe “chil’hamaivisto” Biden. Certo, “uomo di grande integrità”, ma anche detentore del formidabile record “di non averne mai azzeccata una in politica estera negli ultimi quarant’anni”. A cominciare dall’Afghanistan, dove Biden ha predicato l’utilizzo di una strategia “di corte vedute”. Legnate da Gates soprattutto per Obama, “democratico” solo a chiacchiere. Nel senso che avrebbe costruito una macchina amministrativa personale, parallela a quella istituzionale, che controlla tutto ciò che si muove. Dove, insomma, adviser, capi-staff, dattilografi e uscieri, contano più dei ministri. Questo per dirvi che aria tira a Washington. Ora il presidente, con un veloce giro di valzer, ha dato il via libera ai raid aerei contro i militanti dell'Isis in Irak. Lo ha annunciato nel corso di una dichiarazione in diretta Tv, spiegando di aver anche autorizzato il lancio di aiuti umanitari - cibo e medicinali - alle popolazioni in fuga dai militanti jahdisti. La decisione sarebbe stata presa “per colpire i terroristi islamici, proteggere il personale americano in Irak ed evitare un potenziale genocidio. Non potevamo chiudere gli occhi”, ha proseguito Obama, precisando come i caccia americani entreranno in azione “se necessario e che i bombardamenti saranno mirati”. L’Onu, da parte sua, ha lanciato il solito “millantesimo” e inutile appello. Segretario generale e funzionari a go-go devono pur giustificare gli stipendioni che si mangiano. O no?

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