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Kurdistan, e chi ci
pensa ai turchi?


di Piero Orteca

 La situazione geopolitica e militare nel nord dell’Irak si va delineando con una complessità estrema. I giochi si fanno sofisticati e i dilettanti allo sbaraglio (inutile fare nomi, per carità di patria) dovrebbero cercare di parlare di meno e ascoltare di più, un po’ in tutte le Cancellerie occidentali. Perché? Semplice, basta poco per fare saltare il banco e vi spieghiamo il motivo. Non esistono punti di equilibrio assoluti e ogni nuovo assetto faticosamente raggiunto manda a farsi strabenedire tutti gli altri precedenti. Il forzato rientro, alla grande, dei curdi (di cui tutti s’impipavano assai fino a qualche giorno fa) nel cinico circo Barnum della politica internazionale, per risolvere la crisi irakena, rischia di aprire altri e più turbolenti scenari. Domanda delle domande, come prenderà questa svolta il colosso turco, nemico storico dei “P eshmerga”, giusto una settimana dopo che il “duro e puro” Erdogan ha vinto le elezioni presidenziali di Ankara? Vedremo, anche perché le notizie, “g i u l i v a m e nte” diffuse, del riarmo curdo, che dovrebbe essere condotto dagli europei (che si sono divisi i ruoli con gli americani), non può lasciare indifferenti i permalosi generali turchi. Intanto, nell’ambito dell’impazzimento diplomatico che si registra nella regione, gli Stati Uniti, che non sapevano più a che santo votarsi, hanno ripreso a flirtare con gli ayatollah. Troppo forte il terrore indotto dai tagliagole sunniti dello Stato Islamico di al Baghdadi. Contatti sono in corso con Alí Shamkhani, il potente segretario del Supreme National Security Council iraniano, ex Ministro della Difesa e capo della Marina delle Guardie Rivoluzionarie. Tanto per far capire di chi stiamo parlando. E per farla completa, fonti dei Servizi israeliani rivelano che il nuovo premier irakeno, lo sciita al Abadi, la prima persona che ha incontrato “per ricevere direttive” è stato proprio Shamkhani. Cosa che complica l’inghippo anche sul versante curdo, dove il leader Massoud Barzani guarda con sospetto tutto ciò che si muove dalle parti di Teheran. Specie quando si parla del petrolio dei campi di Kirkuk. Nemmeno i sauditi fanno salti di gioia davanti ai salamelecchi Usa-Iran e si sforzano di tenere stretta la presa sulle aree sunnite irakene. D’a ltro canto, finora gli americani hanno fornito ai curdi solo armi leggere, che si stanno rivelando poca cosa di fronte ai grossi calibri Usa, finiti nelle mani dei jihadisti dopo essere stati girati vanamente all’e s e r c ito di Baghdad. In Israele, comunque, pensano che la deferenza verso gli iraniani non porterà grandi vantaggi a Washington e, in particolare, alla sua Marina. Ma siccome la politica estera è, comunque, sempre lo specchio delle magagne interne, ecco che in America è rispuntata a tiro di palla Mrs. “Trentaduedentì” Hillary Clinton, che ha sfruttato il saponoso pavimento irakeno, dove Obama costretto a ballare il tip-tap, per criticare la politica della Casa Bianca, definita troppo cauta. Corto e netto il pensiero della prossima candidata allo Studio Ovale: in Siria si è sbagliato di tutto e di più, non riuscendo a creare un’opposizione credibile e lasciando colpevolmente spazio, dove si sono infiltrati i nipotini di bin Laden. Temo, ha aggiunto la moglie di Bill “Settebellezze”, che presto Stati Uniti ed Europa potranno pagare il prezzo di quest’errore. Magari sotto forma di devastanti attentati condotti con gli stessi esplosivi regalati dai babbioni occidentali agli ex alleati anti-Assad, rivelatisi mortali terroristi. Hillary ha concluso la sua arringa (un’intervista a The Atlantic) parlando di come contenere, combattere e sconfiggere le milizie dello Stato Islamico di al Baghdadi, infiltratesi nei buchi creati dalla politica Usa. Ma da quest’orecchio a Gerusalemme non ci sentono e pensano (metà rassegnati e mezzo inferociti) che il vuoto originatosi in Siria e in Irak Obama ha già deciso di riempirlo con gli ayatollah iraniani Cosa che, se non fa dormire gli israeliani, popola di incubi anche i sonni degli sceicchi sauditi. Muovendosi “per procura” g r azie al patto di ferro con Teheran, infatti, la Casa Bianca può evitare di intervenire direttamente nella mischia (urtando gli ombrosissimi turchi) e lasciando il “lavoro sporco” di riarmare i curdi, come abbiamo già sottolineato prima, principalmente agli europei. La carta che potrebbe risultare vincente è il cambio in corsa di “premierato” con al Abadi, uno sciita moderato capace di aggregare anche i sunniti moderati irakeni e di scavare il terreno sotto i piedi ad Abu-Bakr al Baghdadi. Il defenestramento di al Maliki, tanto per capirci, è stato possibile solo grazie al via libera dell’Iran. Obama è convinto che coinvolgere i sunniti irakeni nel progetto anti-al Qaida significa togliere l’acqua dalla boccia con i pesci rossi, costringendo al soffocamento gli eserciti dei terroristi. Certo, i suoi adviser gli hanno già fischiato che puntare troppo sui curdi vuol dire inimicarsi i turchi. Cosí, ballando sulla corda su una zampa, come l’orso Yoghi, il presidente ha fatto un altro giro di valzer, offrendo un sorriso di sguincio ai suscettibili eredi di Kemal Ataturk: ha deciso di vendere loro missili (gli Amraam, “Advanced medium- range air-to-air missiles”) per 320 milioni di dollari. Contemporaneamente ha bloccato la cessione di missili Hellfire ad Israele, per compiacere Erdogan, facendo saltare ulteriormente il ticchio al già imbufalito Netanyahu e a tutto lo Stato maggiore di Gerusalemme. Con questa andatura cerchiobottista Obama spera di limitare i danni e di tenersi buoni i turcomanni. Anche perché dovete sapere che, da lunga pezza, le cose tra Ankara e Israele non filano poi cosí lisce. Anzi, gli israeliani parlano di “vera e propria antipatia”. Forte del suo 52% di consensi, Erdogan adesso potrebbe essere tentato di prendersi una rivincita rispetto a quando, qualche anno fa, le truppe di Gerusalemme bloccarono la sua flottiglia diretta in soccorso della Striscia di Gaza. Non è, ovviamente, solo una questione di sentimenti e inimicizie personali. Erdogan sa benissimo che, tenere testa a Israele, consoliderebbe nella regione la sua immagine di leader tra i musulmani moderati “fino a un certo punto”. Per questo cura sempre il filo diretto con Obama e cerca di mettere in chiaro che le sue mosse non sono mai anti- americane. Gaza, l’Irak, i curdi e ora anche i turchi. Qualcuno ci capisce niente?

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