Il presidente del Consiglio continua a dispensare ottimismo a piene mani: con le riforme che verranno realizzate (basteranno i “suoi” 1.000 giorni?) l’Italia sconfiggerà la crisi, che comunque stringe nella sua morsa tutto il Vecchio Continente. Un sincero grazie. Abbiamo bisogno di essere incoraggiati –siamo logorati dalle brutte notizie –purché lo si faccia con la “verità dei fatti”. Certe bugie hanno le gambe corte e le illusioni che generano sono pericolosi palliativi. Meglio, dunque, restare con i piedi ben saldi a terra e tenere a mente i pessimi numeri della nostra economia. Il blitz ferragostano di Renzi in Campania, Sicilia e Calabria ha rappresentato l’ennesima bella pacca sulla spalla, peccato che sia servito, soprattutto, per dire che «non c'è un “caso Italia”, perché tutta l’Europa vive una fase di stagnazione». Perché una tale ingiustificata “faciloneria”? Il Paese, caso unico tra le economie occidentali, è al palo da almeno 20 anni, dunque molto prima della bolla speculativa dei mutui sub prime. Quella, per intenderci, “certificata” il 15 settembre 2008 con l’incredibile fallimento della banca americana Lehman Brothers. Non è vero che non c’è un “caso Italia”, lo si comprende proprio guardando in casa d’altri. La Germania rallenta? Fisiologico, dopo anni di quasi solitaria galoppata e le sanzioni pro Ucraina che hanno stoppato l’interscambio con la Russia. La Gran Bretagna, centro della finanza mondiale? Corre, dopo aver “smaltito” il contagio trasmesso dai cugini americani, a loro volta in grande spolvero grazie al basso costo dell’energia e del denaro. Così come la Spagna. Pure i “piccoli”, a cominciare dalla Grecia, girano bene: nel secondo trimestre 2014 cresce il Prodotto interno lordo di Austria (dello 0,2%), Finlandia (0,1%), Portogallo (0,6%), Ungheria (0,8%), Olanda (0,5%). Tutti sulla stessa barca? Non si può neppure pensare, soprattutto allargando l’orizzonte temporale dei dati: siamo i soli ad aver perso dal drammatico 2008 ben 9 punti di Pil. La Germania ne ha guadagnati 4, la Francia, oggi al palo come noi, 1. È tempo di riforme, fra tutte quella che dovrà cambiare l’ingessato mercato del lavoro. È tempo di abbattere il debito pubblico. È tempo di tagliare le tasse a lavoratori e imprese, che per svilupparsi non devono essere preda di capitali stranieri o costrette a delocalizzare la produzione. C’è tanto altro da fare, senza annunci a raffica che non creano effetti virtuosi. La ripresa è nelle mani del Governo e, soprattutto, del Parlamento. Cosa possono poi “aggiungere” l’Ue e la Bce? Un robusto piano di investimenti infrastrutturali transnazionali e l’acquisto di titoli. Una politica espansiva che, come ha chiesto ieri il ministro Padoan, faccia pure risalire l’inflazione.