Mentre Abu Mazen (Autorità Palestinese) al Cairo incontra El Sisi e lancia un appello alla trattativa, tra i generali israeliani e alcuni politici di grosso calibro, a sentire gli spifferi in arrivo da Gerusalemme, la misura è colma e lo scontento tocca vertici mai raggiunti sin dalla prima invasione in Libano, rivelatasi, allora, un mezzo disastro. In sostanza, gli strateghi vincitori di mille battaglie pensano che l’operazione “Striscia di Gaza” (“Defensive Edge”, in realtà) sia stata condotta con i piedi e mettono al palo della tortura, sotto accusa, il premier Benjamin Netanyahu e il Ministro della Difesa, Moshe Ya’alon. I quali, in una conferenza stampa televisiva hanno cercato di difendersi dalle critiche (per inciso, un bimbo è stato ucciso nel Negev) ma non hanno convinto manco il gatto. D’altro canto, a sparare a zero, è il caso di dirlo, sono ministri come Gideon Sa’ar (Interni), Avigdor “Orso” Lieberman e Naftali Bennet, riottosi scudieri dell’estrema destra. Ma le disgrazie non si fermano qua. Nel mazzo metteteci pure l’autorevole “ministra” Tzipi Livni (Giustizia) e un battaglione di deputati dello stesso partito del presidente del Consiglio, il Likud. Tutti i detrattori cantano la stessa litania: perchè imbarcarsi in trattative diplomatiche con Hamas, (che ha giustiziato 18 presunte “spie”) col rischio di essere obbligati a nuove concessioni? Netanyahu si difende e dice che alla guerra d’attrito di Hamas e, nonostante i negoziati, sta rispondendo con le martellate (uccisi ieri altri cinque palestinesi). Come quella sferrata e accuratamente mirata contro Muhammed Deif (il leader militare di Hamas) e la sua famiglia la notte del 19. In quell’occasione i caccia con la Stella di David hanno condotto attacchi mirati a Sheik Radwan, uccidendo moglie e figlia di Deif. Ma nessuno sa ancora dire se lo stesso Deif sia morto. I bombardamenti “chirurgici” sono proseguiti a Rafah, dove sono stati eliminati tre esponenti di spicco del comando sud di Hamas: Abu Ayman, Abu Khalil e Mohammed Barhoum. Tutti e tre “supervisori” della costruzione di tunnel e organizzatori del contrabbando di armi. La politica di assassinii mirati, tuttavia, secondo gli esperti, è una tattica momentanea. Netanyahu conta molto sui buoni uffici dell’Egitto per raggiungere qualche forma di accordo con Hamas e coprirsi, cosí, quello che potremmo definire il “fronte sud”. Lo stesso premier non ha esitato a bacchettare duramente i ministri dissenzienti, colpevoli di remare contro nella fase più delicata della guerra. Gideon Sa’ar ha risposto per le rime, dichiarando che le trattative in Egitto non servono a niente, se non a rafforzare Hamas e ad affossare Al Fatah, la fazione rivale palestinese guidata da Abu Mazen. Fatti quattro conti, la presa di posizione di Sa’ar potrebbe voler dire che Netanyahu non ha più la maggioranza per sostenere la sua strategia. In molti cominciano a prendere le distanze da lui e da Ya’alon, specie dopo che Hamas ha rotto 135 ore di tregua, spedendo una pioggia di razzi su Beersheba e Netivot e arrivando, persino, a colpire vicino Gerusalemme e Tel Aviv. In realtà, a sentire fonti “traverse” dei Servizi israeliani, la contrapposizione tra ministri nasce da una radicale diversità di vedute (e forse di informazioni). Netanyahu e Ya’alon, infatti, si sarebbero convinti che Hamas stia disperatamente cercando una via d’uscita per far cessare le ostilità. O, meglio, sarebbero stati convinti dall’ex capo dell’Aman (i servizi segreti militari), maggior generale Aviv Kochavi, che proprio cosí stanno le cose. Il polverone si sarebbe infittito dopo che anche Tzipi Livni, notoriamente “ministra” dialogante, avrebbe preso cappelllo, schierandosi contro la linea “trattativista” dell’asse Ya’alon-Netanyahu. E a proposito della nuvola di calcinacci che copre fatti e antefatti della guerra di Gaza, va anche detto che la stessa confusione esistente nel campo israeliano viene attribuita allo stato maggiore di Hamas. In molti ritengono che anche all’interno dell’organizzazione palestinese vi siano fratture e divisioni e che i leader della “Striscia” poco sapevano dei razzi sparati su Beersheba, Netivot, Ashkelon, Shear Hanegev ed Eshkol. Insomma, se le cose stessero veramente cosí staremmo freschi, perchè sarebbe la guerra di tutti contro tutti e i rispettivi interlocutori, semplicemente, non sarebbero identificabili. Che le cose stiano prendendo una piega poco simpatica per Netanyahu e per il suo Ministro della Difesa è testimoniato dal fatto che parte della popolazione sta perdendo la pazienza. A Tel Aviv (Rabin Square) in 30 mila sono scesi in piazza per chiedere un atteggiamento più duro verso Hamas. Gli stessi sindaci non si fidano delle rassicurazioni dei militari e hanno impartito ordini per approntare rifugi a Tel Aviv, Ashkelon, Rehovot, Rishon Lezion, Ramat Gan, Gedera, Kyriat, Malachi, Sderot, Netivot e Beersheba. Cancellati anche eventi pubblici, fiere e iniziative d’incontro sociale. A rischio, nella regione vicina alla “Striscia”, anche la riapertura delle scuole. Ma quali sarebbero i termini dell’accordo mediato dagli egiziani e discusso al Cairo lunedí scorso? Si tratta di otto punti, resi pubblici per la prima volta. Nell’ordine: 1) I diritti per la pesca dei palestinesi sono estesi da 3 a 12 miglia; 2) Israele ristabilirà la capacità di produrre energia elettrica entro un anno; 3) Le operazioni di ristrutturazione a Gaza saranno sorvegliate e coordinate dall’Autorità Palestinese di Ramallah; 4) Un’Agenzia internazionale s’incaricherà di monitorare i materiali da costruzione diretti a Gaza; 5) Israele eliminerà le sue restrizioni finanziarie applicate alle banche della “Striscia”; 6) Entro un mese cominceranno i colloqui per definire la costruzione di un aeroporto internazionale e quella di un porto ad elevato dragaggio; 7) gli stessi colloqui riguarderanno la liberazione di detenuti palestinesi che si trovano nelle prigioni di sicurezza israeliane; 8) La tregua tra le due parti sarà estesa e sarà dichiarata una cessazione delle ostilità. Gli israeliani vorrebbero, poi, separare gli aspetti della sicurezza da quelli umanitari. Altri quattro punti riguarderebbero la demilitarizzazione parziale della “Striscia”, il blocco dei rifornimenti, la possibilità di trattare il rilascio dei detenuti palestinesi e la “riabilitazione” della “Striscia” prima dell’eventuale disarmo di Hamas. Questi i “punti”, che hanno già fatto sollevare le prime grane. I “Comitati popolari” palestinesi non ci stanno e hanno già fatto sapere che continueranno gli attacchi. Tanto per capirci e, come dicevamo prima, è la guerra di tutti contro tutti.
Israele, litigano
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di Piero Orteca
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