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Angelo Falzea, cento
di questi anni...

Compie cent’anni, oggi, Angelo Falzea. Messinese, è considerato unanimemente uno dei più importanti giuristi italiani e tra i più noti a livello mondiale. Intervistato dalla “Gazzetta”, il Professore ha tracciato in linee essenziali un bilancio della sua vita, dedicata al Diritto. Ricordi straordinari e anche qualche rimpianto.

Angelo Falzea è professore emerito dell’Università di Messina, dove ha insegnato per moltissimi anni, da professore ordinario di Istituzioni di diritto privato e di Diritto civile. È inoltre socio dell’Accademia dei Lincei e decano dei civilisti italiani. Dal 1997 al 2002 è stato anche il direttore scientifico dell’Enciclopedia del Diritto. Tra i numerosi titoli e premi ci sono la laurea honoris causa in Scienze politiche conferitagli dall’Università di Siena nel 2006 e il primo Premio Internazionale Bonino (1991).

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di Nuccio Anselmo

"Venga venga, si accomodi".  Nella terrazza della sua villa di Mortelle Angelo Falzea riflette su una sedia di vimini e guarda oltre le siepi della veranda una fetta di mare, azzurropuro come il suo leggero maglioncino di cotone. L’elegante bastone è poggiato accanto.

 Lo scienziato del Diritto, abituato alla cogitazione, alla speculazione filosofico-giuridica, alla ri-lettura della vita in ogni sua stagione, è ora lì seduto davanti al mare. Oggi compirà cent’anni:  è nato il 26 agosto del  1914, quando i bagliori della Prima guerra mondiale già offuscavano di sangue l’Europa. 

«Eh già – sorride –, questa montagna di anni ce l’ho, nel bene e nel male». Una vitalità  straordinaria, visto il secolo di vita. E intatto lo spirito indagatore che lo ha portato alle vette del pensiero giuridico moderno.

Non ha mai amato le interviste, solo grazie alla paziente “mediazione” del figlio Paolo, anch’egli docente universitario, ha accettato di chiacchierare, per poco, nel corso di due preziose mattinate, sotto lo sguardo affettuoso della moglie Vittoria.

Il cuore della villa realizzata dal Calandra è il suo studio: lì c’è tutto il mondo dei libri di una vita, dei quaderni degli appunti, rigorosamente presi a mano. È stato probabilmente per tanti anni il suo pensatoio, dove ha elaborato alcune delle principali puntate della Teoria generale del diritto, le “voci”, a cavallo tra gli anni 50 e 60: “Accertamento”, “Apparenza”, “Efficacia giuridica”, “Fatto giuridico”.

«Vede – dice guardandosi attorno –, io mi chiedo da qualche giorno, ma l’architetto che ha realizzato questa casa voluta da mio padre, in base a quali ragionamenti l’ha fatta così? Perché ci sono queste due rampe di scale e non una? Mai come quest’anno ho apprezzato così tanto questa casa...». E gli occhi si velano pensando al padre «per il quale ho un’ammirazione enorme».  

E in quegli interrogativi brilla la cifra del suo multiforme intelletto, la perenne curiosità esplorativa, l’incapacità di accontentarsi della prima spiegazione plausibile. Insomma la coltivazione del dubbio che persiste ancor oggi, intensa.

Professore, la “curiosità intellettuale” per lei che cosa ha rappresentato? 

«Niente, perché ne ho avuto coscienza soltanto alla distanza. Perciò non ha influito sulla mia formazione, semmai sulla mia coscienza, per una realtà generale con cui mi sono sempre instancabilmente confrontato, e mi son sempre chiesto come l’avrei concepita io».

Cosa è stato, nella sua esistenza, l’insegnamento all’interno dell’Università?

«Una sorpresa, veramente una sorpresa, perché quando sono andato all’Università io non avevo alcuna preparazione, diciamo, universitaria. E in sostanza ho cercato subito di adeguarmi alle esigenze della facoltà. Debbo dire che a Reggio Calabria, all’inizio, mi sono trovato davvero molto bene, meglio che a Messina».

Le sue lezioni di Introduzione alle Scienze giuridiche le ricordano in tanti...

«Mah, in fondo ho lasciato fare alla sorte, ho sempre detto “Non c’è giudice migliore di chi deve prendere decisioni di vita accademica per operare con un’umiltà enorme”, perché devi sapere bene di cogliere nel segno. E quindi per me il ricordo di quegli anni molto intensi supera tutte le considerazioni che si possono fare sulla mia lunga permanenza nel campo delle lezioni universitari».

Le lezioni quanto l’hanno aiutata a elaborare le sue teorie? Hanno avuto un posto privilegiato in questo? 

«Mah, se dicessi di no direi una bugia, se dicessi di sì direi pure una bugia, perché è difficile cogliere il produttivo dall’improduttivo, e soprattutto si è

portati a banalizzare le cose che si sono fatte».

In quegli anni come fu il suo rapporto con Pugliatti...

«Beh, vede, il mio rapporto con Pugliatti è stato di una difficoltà gigantesca, non di poco conto, perché né Pugliatti né io ci siamo resi conto della, come dire, reciproca formazione dei nostri sistemi, perché sono stati molto vicini. Ma io ho un ricordo gradevole, che generalmente non si ha per il proprio maestro. Perché lui non era un maestro, in fondo, però c’era in tutti noi questo desiderio di non essere secondi a nessuno, questo sì, questo era chiarissimo, non essere secondi a nessuno, all’interno dell’Università».

Ha dedicato l’intera vita al Diritto. Dopo tutto questo cosa adesso le rimane, e soprattutto cosa rimane oggi nella “società postmoderna”del Diritto e della Filosofia?

«Credo rimanga la necessità forte di riempire, di colmare un vuoto che c’è oggi su quello che si può fare, che si deve fare, e che si aspetta che si faccia, e però i soggetti di questa “attesa” sono molto, forse troppo diversi l’uno dall’altro. E allora è qui il problema di fondo, perché per quella che è la mia esperienza noi ci troviamo di fronte, per tornare alla sua domanda, a prospettive, a soluzioni assolutamente inedite. Quindi, come dire, non sono preparato a dare una risposta adeguata e definitiva a quella “tremenda” domanda che mi ha fatto. Forse è il caso di chiarirsi le idee bene su qual è il “problema” che oggi hanno i giuristi che si occupano di questi settori: è lo stesso di ieri, quando c’è stato un grande travaglio per orientarsi nel mondo del Diritto, oppure oggi ci sono “problemi” diversi? Insomma io ho il diritto di porre in questi termini, cioè con una mera contrapposizione tra passato e presente, come unica problematica dei giuristi di oggi, la questione? Non credo, io sono molto scettico per natura, quindi credo che ci siano questioni più complesse di una mera contrapposizione passato-presente da affrontare oggi».

Se apre la pagina dei rimpianti cosa succede?

«Tutto, soprattutto come ho speso questo tempo. Io sono “scontentissimo” di come l’ho speso, perché avrei avuto il dovere di allargare l’orizzonte delle mie indagini, ma soprattutto di finalizzarle meglio, in modo che il cittadino qualunque si ritrovasse in quelle problematiche che andavo proponendo».

Lei ha scritto voci fondamentali del Diritto internazionale...

 «A me non risulta... ripeto io sono molto scettico nelle valutazioni anche personali, e poi i problemi che si pongono adesso nella mia materia sono completamente diversi, e probabilmente io sono impreparato per questi problemi».

Pur potendo “emigrare” ha scelto sempre e comunque di tornare a Messina... Che idea s’è fatta sulle condizioni della città e sul suo percorso storico- culturale?

«Male, male... male, per quello che avrebbe potuto fare e che non ha fatto, e che in definitiva non ha neanche visto. La “censura sul fare” è spesso una censura anche sul ricercare e sulla identificazione dei problemi che si pongono a qualsiasi gruppo di persone che voglia operare. E difatti io credo siamo in questo momento, come dire, in un frangente assolutamente problematico, e questo è un male tremendo, perché non c’è peggio dell’incertezza».

Una domanda “ardita”: che progetti ha per il futuro?

«Intanto di non morire subito, è la condizione rispetto a tutte le altre, e poi... ci sto pensando molto, non è che abbia molti spazi... e allora la scelta delle tematiche che devo affrontare diventa condizionante, perché elimina tutto il resto, è questo il “dramma” che sto vivendo in questo periodo».

Il mondo accademico le ha dato tanto, lei cosa ha dato al  mondo accademico?

«Beh, io sto preparando probabilmente una conclusione scettica sulla “giuridicità”. Vede, avevamo un compito straordinario, era la cosa più ardita che l’uomo potesse pensare... non c’è riuscito del tutto... quello che ha  prodotto è tutto... non dico da scartare, ma da rivedere alle radici, ha bisogno di una revisione profonda, ma chi ce l’ha il tempo e la voglia... e comunque, in conclusione (sorride), questo significa che i giuristi sono ancora necessari».

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