Parliamoci chiaro: da quando il comunismo sovietico ha esalato l’ultimo respiro, non per scelta ma per necessità (la fame si raccoglieva col “coppo”), ruolo e funzioni della Nato si sono persi per strada. Leggere, prego, gli articoli del Trattato per capire dove oggi l’Alleanza atlantica voglia andare a parare. Probabilmente non lo sanno bene manco i Paesi occidentali che ne fanno parte. E non è una battuta di scherzo. La premessa era indispensabile per cercare di afferrare le logiche che stanno dietro al vertice gallese di ieri l’altro, in cui si è parlato di Ucraina (argomento tutto sommato formalmente condivisibile) e di Irak, dove la Nato (vedi anche l’Afghanistan) dovrebbe entrarci come la panna sulla granita limone. Ma, si sa, se in Italia, quando le cose non funzionano (tutti i giorni) si mette in piedi una bella commissione d’inchiesta (per guadagnare tempo e giustificare i lauti stipendi dei politicanti), nelle organizzazioni internazionali si fa lo stesso. Fiumi di blablabla con i quali si tende un poco assai ad allargarsi, per tenere in piedi il baraccone. Nel caso specifico, la Nato, rimasta senza nemico (che era l’Urss e non certo la Russia, lo ricordiamo ai “das”, diplomatici allo sbaraglio” o “dilettanti”, fate voi, tanto la sostanza è la stessa), ogni tanto ne risuscita qualcuno, per non lasciare gli americani da soli alle correnti d’aria e sotto gli spifferi generati dalla loro politica estera. Metteteci anche il carico sulla briscola “europea”, e cioè la mancanza quasi assoluta di una “foreign policy” comune di Bruxelles e di una politica di difesa credibile nel Vecchio Continente, e comprenderete subito perché Putin, dopo il comunicato finale in arrivo da Newport si sia fatto una bella risata. La speranza, aggiungiamo noi, è che a Minsk (Bielorussia), sia stata firmata una tregua durevole tra le parti e che si impedisca alla diplomazia occidentale di farne un’altra delle sue, puntando sul boomerang delle sanzioni commerciali, che non funzionavano nemmeno quando Berta filava. Nostre simpatie nascoste per Putin? Se maneggi un mamba nero, non fare mosse brusche non è una scelta affettiva, ma solo una strategia di sopravvivenza. Sano realismo, insomma, specie da parte di quei popoli che sono già morti per Danzica e, possibilmente, non vorrebbero fare lo stesso anche per Kiev. Est modus in rebus, insomma. Spiegatelo ai giovani achei (e alle vecchie mummie) della politica internazionale, prima che facciano altri danni. Non stuzzicare un crotalo ma, se possibile, farlo andare per la sua strada è una maniera intelligente e indolore di risolvere le rogne. Se poi non la vuole capire, prima di pestargli la coda (pardon, i sonagli) vanno tentate tutte le soluzioni possibili, per non beccarsi una bella iniezione di veleno, da cui non ci si potrebbe più svegliare. La vita, si sa, è fatta di priorità. Pensare che, in questo momento, la precedenza la debba avere l’Ucraina sul Califfato irakeno è puramente da idioti. E presto potremmo accorgercene tutti, magari prendendo l’aereo sbagliato o entrando in un locale pubblico destinato a saltare per aria. Certo, Putin è un tipetto di quelli che non si fanno passare la mosca per il naso. Ma anche Usa ed Europa ci hanno messo del loro, trattando gli ex sovietici come pezzenti, proclamando la vittoria (senza se e senza ma) del capitalismo sul “socialismo di Stato” e autodesignandosi “poliziotti del mondo”. Tutti azzardi, di cui oggi paghiamo le conseguenze e per i quali siamo obbligati a leccarci le ferite. In Galles, tanto per dire di avere fatto qualcosa, si è studiato il lancio di una Forza d’intervento rapido (che già esiste). Quattromila uomini, che dovrebbero rappresentare una sorta di “babau” per Putin e che probabilmente non basterebbero nemmeno a “conquistare” (si fa per dire) l’aeroporto di Mosca. Quindi? Fumo negli occhi, per l’opinione pubblica dei perbenisti in servizio permanente effettivo, per tutti coloro, cioè, che pensano come “l’etica” (la loro, è ovvio) e i “valori” (idem) per essere difesi valgano bene una guerra. Le uniche buone notizie arrivano dall’Irak, dove sono stati eliminati con un attacco aereo di F-18 Hornet (partiti dalla portaerei “George HV Bush”), il numero due dello Stato Islamico, Abu Hajar al-Souri e il capo del Consiglio militare, Abu Alaa al-Iraqi. Tornando all’Ucraina, resta aperta la “dolorosa” questione delle spese belliche. Chi paga? In Galles si è deciso di obbligare tutti (anche l’Italia) a destinare alla Difesa almeno il 2% del Pil. E poi, chi comanda? In Europa inglesi e francesi, memori delle passate glorie, vogliono l’ultima parola. Così magari ripetono le maccheronate fatte in Libia e in Siria, aggiungiamo noi. I russi, comunque, hanno già risposto picche. Dicendo che reagiranno (economicamente) alle sanzioni, finendo per inguaiare ulteriormente quei Paesi come l’Italia che hanno già solidi rapporti commerciali con loro. Intanto, si sono calati la maschera e sono entrati direttamente, con le truppe del’ex Armata Rossa, nel conflitto, operando, però, solo nella zona russofona. Un modo per dire che anche loro sono dalla parte del diritto internazionale, quello che tutela le minoranze. Certo, non è più come al tempo dell’invasione dell’Afghanistan da parte di Brezhnev. Oggi le notizie filtrano. Anche se, dopo l’esperienza dell’invasione in Georgia, Mosca ha cambiato le sue regole interne, rendendo il dispiegamento delle sue truppe all’estero formalmente “legale”. Purchè, comunque, ci sia sempre un pronunciamento del Parlamento. Secondo Keir Giles, analista del Conflict Studies Research Centre di Oxford e Associate Fellow della Chatam House, sono ovviamente false le dichiarazioni del Cremlino che parlano di “volontari”. È pacifico che le truppe russe operanti nell’Est Ucraina sono “regolari”. In particolare, si tratta di unità aviotrasportate e di paracadutisti che potrebbero essere, in futuro, utilizzate per operazioni di “peacekeeping”, cioè di interposizione (finta) tra i duellanti. La verità, dicono gli specialisti inglesi, è un’altra: i “parà” di Mosca sarebbero utilizzati in interventi di “peaceenforcing”, cioè, a dirla tutta, in veri e propri combattimenti contro l’esercito ucraino. Intanto, il bilancio del conflitto, secondo le Nazioni Unite, diventa sempre più pesante, con quasi 2500 morti, 5 mila feriti e 200 mila profughi rifugiati in Russia.