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Irak, la Cia ha
sbagliato i conti


do Piero Orteca

 Se non ci fosse da piangere ci sarebbe da ridere. Mentre i terroristi dell’Is (Stato Islamico) irakeno, in un video su “Youtube”, promettono di fare la festa molto presto a europei e americani, con una raffica di attentati a via di cinture kamikaze esplosive, negli Stati Uniti i responsabili della sicurezza (si fa per dire) farfugliano notizie inquietanti. “Sorry, ci siamo sbagliati. Anzi, abbiamo proprio preso cavoli per lampioni” è la letterina della domenica. Firmato: Central Intelligence Agency. Non è la prima volta che la mitica Cia ammette di avere fatto errori di “stima”, ma in questa occasione ha mandato in bestia persino un tipo pacato e riflessivo (forse troppo) come Barack Obama. In pratica, le barbe-finte americane hanno candidamente confermato di avere “s o t t o s t i m ato” il numero dei tagliagole che combattono sventolando le bandiere dell’I s l amic State (una volta Isis). I t e r r o r i s t i - f o n d a m e n t a l isti- jihadisti, e chi più ne ha più ne metta, non sono 10 mila, come ipotizzato finora, ma superano abbondantemente i 30 mila. Cosa che spiegherebbe le scoppole a ripetizione prese dall’esercito irakeno, che avrebbe già perso 12 mila uomini. Non solo. Ma, visto lo sbaglio chilometrico, a Washington cominciano a pensare che si sia sottovalutata la capacità degli ex nipotini di al Qaida (c’è qualche divergenza con l’università del terrore) di riuscire a fare proseliti. In ogni caso, una brutta nuova, specie per i Premi Nobel della strategia che pensavano, in Occidente, di fare la guerra al siriano Assad senza pagare le pere (e farle pagare a tutti noi). Vista la catastrofica piega presa dagli avvenimenti, Obama è corso ai ripari spedendo il Segretario di Stato, John Kerry, a fare il classico giro delle sette chiese (pardon, moschee) per accattonare qualche forma di “aiuto” dopo che, alla Casa Bianca, si sono accorti di avere sparato (e fatto sparare) per un paio d’anni al nemico sbagliato. Così, il poveretto è corso dagli accigliatissimi sauditi (a Jeddah), trafelato (e “trifolato”) per chiedere una mano a una decina di Paesi arabi (tra cui l’Egitto, a cui ha promesso “ben” otto elicotteri), onde arginare la forza finora straripante dello Stato Islamico. Inutile dire che i “se” e i “ma” si sono sprecati e che, alla fine, qualcuno ha dovuto dire la verità. Lo ha fatto Ryan Trapani, portavoce della Cia, dichiarando che il nemico è ben più numeroso e agguerrito di ciò che si pensava perché, dopo i successi ottenuti sul campo da al-Baghdadi, la gente scappa ad arruolarsi a mandrie nelle sue milizie. Intanto, la Casa Bianca ha richiamato un generale in pensione, John Allen, chiedendogli di coordinare il fronte anti-Is, un fenomeno frutto della dabbenaggine occidentale che ha fatto perdere il sonno e la pace a tre quarti del Congresso. Tirato per la giacca, lo stesso Obama ha annunciato un piano per distruggere l’Is, bombardando anche in Siria gli ex “a lleati” anti-Assad. Ora passati dall’altro lato. Mentre il dittatore alawita, che sembrava l’origine di tutti i mali del mondo, dopo quasi 130 mila morti (che gridano vendetta) pare ormai diventato una specie di compare d’anello del sempre più intronato presidente Usa. Ricapitoliamo. Obama aveva cominciato con saggezza, programmando di lasciare a rotta di collo Afghanistan e Irak col minimo danno possibile. Poi si è fatto mettere la testa nel sacco dall’avidità dei francesi, dalla patetica foia degli inglesi di andare alla ricerca dell’impero perduto e dall’azione combinata di un paio di suoi “adviser”, malati di protagonismo. Metteteci una buona dose di odii tribali, l’assoluta ignoranza dei difetti (e dei tanti pregi) dell’Islam, l’imbelle presenza della dis-Unione Europea, l’astio nemmeno tanto nascosto per gli ex sovietici (trattati, con alterigia, da pezzenti della politica internazionale) ed ecco servita, su un piatto d’a r g e nto, una frittata (diplomatica) con due dozzine di uova. Le varie “Primavere arabe” hanno fatto il resto. A parte la discutibile filosofia che sta dietro il principio di “esportazione della democrazia”, resta il fatto che non si può andare a nuotare in un mare forza 10 bardati di salvagente con la paperella. Insomma, chiamatela come volete: temerarietà, soperchieria, ipertrofia del proprio ego nazionale, passo più lungo della gamba o, semplicemente, beata idiozia. Il risultato finale è che oggi viviamo in un mondo molto più pericoloso di qualche anno fa. Non solo. Il terrorismo islamico, che era quasi scomparso in tutto il Nordafrica e nella Penisola arabica, adesso imperversa a ogni cantoniera di strada. Un disastro! Tra l’altro, gli americani, di fronte alla montagna di rogne provocata, sembrano come Paperino intento a tappare decine di buchi in un serbatoio d’acqua sforacchiato. Mani e piedi non bastano più. Un esempio? Come avevamo anticipato, di fronte agli aiuti forniti ai curdi la Turchia si è “s f i l ata”, rifiutandosi di firmare il documento della coalizione anti-Califfato. Così Kerry, costretto a fare avanti e indietro come un rappresentante di corredi, è zompato ad Ankara a cercare di metterci una pezza. Dal canto suo, Obama, vista la mala parata, ha diffuso televisivamente e di gran carriera, urbi et orbi, il suo progetto di demolizione dello Stato Islamico. Il presidente ha detto che non si tratta di fronteggiare la minaccia solo in Irak e in Siria, ma, udite udite, anche in altre aree del Medio Oriente, a cominciare dalla Libia. Lampante sconfessione della maldestra foreign policy seguita andando appresso a Sarkozy, che ha provocato più danni della peste bubbonica. In ogni caso, gli Stati Uniti, per contrastare il sanguinario assalto di al-Baghdadi, avranno bisogno del sostegno dei tradizionali alleati sunniti (o, ormai, presunti tali) presenti nella regione, oltre all’aiuto di Israele. Per ora, l’unica cosa certa è che il Pentagono non spedirà truppe di terra (al massimo, arriveranno in Irak alcune centinaia di specialisti). Comunque, secondo i compaesani di Netanyahu, Kerry se n’è tornato dall’incontro di Jeddah “empty-handed”. Cioè, con le braccia vuote. E le pive nel sacco. Il motivo? I governi sunniti della regione vedono come fumo agli occhi gli accordi sotto banco degli con gli sciiti iraniani. Obama è avvisato.

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